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Maestro Silenzio Edizioni
Sede: in ogni Cuore che lo accoglie
Sito: https://maestrosilenzioedizioni.blogspot.com/
Mail: maestrosilenzioedizioni@gmail.com
FB: www.facebook.com/MaestroSilenzioEdizioni/
Illustrazione copertina: Antonella Veggiotti
Maestro Silenzio Edizioni nasce con il proposito di divulgare libri e contenuti in genere, di alto valore etico e spirituale.
L'idea che abbiamo di noi stessi non ricalca esattamente strutture già esistenti, non siamo affatto una casa editrice, noi amiamo definirci più una CANTINA EDITORIALE .
Le cantine sono uno dei luoghi o dimensioni dove gli artisti e gli artigiani progettano e creano le loro opere, sono luoghi magici che tra disordine e ragnatele riescono a ispirare l'arte.
Luoghi dai quali molto spesso, crediamo, non sono mai uscite, non hanno mai trovato la luce, o in tutti i modi non hanno mai raggiunto il grande pubblico la maggior parte delle opere create dall'Uomo.
Ecco che per noi diventa un luogo sacro, un luogo verso il quale sentiamo di volgere, almeno noi, la nostra attenzione, sicuri che lontano dai riflettori potremmo trovare là sotto qualcosa di davvero bello, di emozionante, una favola, una vecchia storia, un'invenzione o un'immagine che sotto la polvere riesce nonostante tutto a dare sempre Luce.
Noi siamo questo: siamo la cantina, siamo l'autore e siamo l'opera scoperta e trovata per 'caso' o comunque apprezzata da coloro che imbattendovisi riescono a scorgere bellezza anche al buio, anche sotto la polvere, anche se non c'è nessuno che si impegna in qualche modo a portarla nel mondo.
ZOT
Dedico questo libro a Davide Ivaldi
Che la nostra musica, le nostre
conversazioni
e la nostra breve ma sincera amicizia
possano accompagnarti nel tuo viaggio..
INTRODUZIONE
Questo libro fa ridere chiunque, fa riflettere molti ma non è un libro per tutti..
PREFAZIONE
Ritengo un privilegio scrivere la prefazione di questo libro, unico nel suo genere, come lo è il suo autore. Ho incontrato Davide Ragozzini nel 2015. Stava organizzando un evento: Maestro Silenzio.
Due giornate da trascorrere in gruppo, in silenzio ma facendo cose insieme che richiedevano relazione… tipo costruire una serra in bambù a partire dal nulla.
Ricordo il mio cuore che saltava inebriato dalla visione e le prime parole che gli ho detto…“Ma … questo non è un corso qualunque…Muoversi in coordinazione come fa un branco di pesci o uno stormo di uccelli, in totale sincronia per non inciampare l’uno nell’altro, rimanendo centrati e guidati esclusivamente dall’osservare fuori, per muoversi in coerenza con le richieste dell’ambiente, di ciò che andava fatto, senza parole ma “mettendosi in ascolto” dell’altro, che si muove con te con la stessa focalizzazione…” Ricordo di aver esclamato: “Ma questo è un corso per avanzati”…
Ecco, l’incontro non è stato poi all’altezza delle nostre aspettative…non eravamo ancora pronti per essere uccelli che librano nell’aria, ma Davide da quel primo incontro ha continuato a stupirmi, rilanciando ancora e ancora la palla - luminosa- sempre un po’ più in là, verso qualcosa che non so bene spiegare ma che mi ha scaldato, ogni volta, il cuore.
Ironico, creativo, magico, umano, coerente, sorprendente, acuto, diretto, profondo, cazzone, riflessivo, amorevole. Questo è Davide Ragozzini come lo sono le sue manifestazioni come, ad esempio, questo libro.
Uno spaccato di noi, del nostro mondo, delle nostre trappole e grandezze, di come si potrebbe trasformare la nostra vita e il mondo, nel rispetto di chi siamo veramente e del mondo stesso. Una visione inedita dei giochi di potere in cui siamo immersi da millenni e di chi li muove veramente. Una lettura che fa ridere e riflettere, che crea suspense e che commuove…Che offre soluzioni là dove sembra essere persa ogni speranza. Che porta a comprendere un orizzonte tanto ma tanto più vasto, trasmesso attraverso parole immaginifiche, un linguaggio schietto e creativo e illusioni. Nulla che possa essere interiorizzato attraverso la mente - strumento utilissimo ma, appunto solo strumento- ma dalla parte più vera, coerente e connessa di noi. Una favola che porta verità e nuove prospettive per l’essere umano.
Perciò il mio grazie personale a Davide e al suo contributo preziosissimo al mondo portato da questa sua scrittura, con leggera profondità e amorevole armonia. Sono certa che chi lo leggerà troverà spunti, semi che sbocceranno dal proprio cuore per trasformare i momenti difficili in magiche opportunità.
Grazie Davide, grazie dal cuore da me e dal mondo!
Simona Cella
Capitolo uno
La
notte del 13 febbraio mi centrò un fulmine. Mi colpì in pieno un saettone della
madonna. Ma non colpì esattamente me, ma la mia auto nella quale ero impegnato
a guidare sotto quel fottutissimo temporale. Io non ricordo niente, solo una
gran luce improvvisa.
Mi
dissero di quanto era accaduto al mio risveglio all’ospedale. Trovarono ciò che
rimaneva della mia auto a una ventina di metri dalla strada nel bel mezzo di un
campo, io ero ancora all’interno ed ero miracolosamente illeso ma privo di
sensi.
La
faccenda iniziò subito a puzzare di bruciato.
Passai
tre giorni nei quali ero ridotto ad una specie di stato comatoso. Mi fecero
molti esami ma apparentemente non risultava niente di compromesso, ero solo
sotto shock. Quando mi ripresi mi dissero che tutta questa storia aveva
dell’incredibile e mi vollero tenere sotto osservazione ancora per qualche
giorno.
Io
ci misi un po’ a capire quello che mi stavano dicendo e anche se mi sentivo in
forma ero avvolto da una specie di stato confusionale: ricordavo abbastanza
bene la mia vita prima dell’incidente, ma mi sembrava quella di un’altra
persona, perché man mano che passavano le ore, mi sentivo molto diverso.
Una
nuova consapevolezza e una nuova percezione di me stesso si stavano facendo
strada dentro di me, al punto di provare quasi pena per il mio me stesso prima
di quello scossone. Ero una specie di sfigato di quelli dalla quale tutti
cercano di stare alla larga.
Un
metro e sessantacinque, grasso, pelato con la forfora, sempre sudato anche in
inverno e mi puzzavano i piedi. Vivevo in una soffitta che la mia padrona
chiamava mansarda insieme a topi, ragni e scarafaggi. Facevo l’agente di
commercio e guadagnavo una miseria che spendevo alle corse dei cavalli. Le
donne mi stavano alla larga e in tutta la mia vita avevo scopato solo con delle
puttane.
Non
avevo amici se non tutti i baristi della città. Cercavo di stare lontano dai
guai ma ero pieno di debiti e ogni tanto qualche figlio di puttana mi
agguantava e mi faceva sputare sangue.
Il
mio corpo chiaramente era ancora quello, ma dentro ero molto diverso e me ne
accorsi subito davanti allo specchio, il mio sguardo non era più da perdente.
Non avevo ancora bene in mente cosa avrei fatto una volta uscito dall’ospedale
ma ero sicuro che avrei messo tutto a posto, innanzi tutto me ne sarei andato
da quella topaia e avrei cercato il modo di guadagnare un sacco di grana. Avevo
le idee chiare. Ne ero talmente sicuro che cominciai a sospettare che quel
fulmine mi aveva dato o tolto forse, qualcosa, avevo l'assurda sensazione di
potere tutto, ma le sorprese non erano ancora finite.
Mi
sentivo molto meglio, stavo aspettando l’esito di un esame ma in realtà non mi
interessava molto stavo solo prendendo tempo per riorganizzarmi le idee e in
qualunque modo me ne sarei andato presto. Ero sdraiato sul letto preso dalle
mie riflessioni quando entrò l’infermiera. Venne a spiegarmi l’ordine in cui
avrei dovuto prendere certe pastiglie. Era giovane e carina e notai che aveva
un gran bel paio di tette. Mentre mi parlava continuavo a guardarle attraverso
la scollatura del camice.
Desiderai
con tutto me stesso che mentre continuava a parlare si sbottonasse e mi
mostrasse tutto quel bendiddio. Non so perché mi venne in mente questa idea.
PORCATROIA,
successe davvero, la sua voce cambiò, divenne lenta e calda.
“Vedi
tesoro, queste pastigliette te le devi infilare in bocca, così.”
E
con due ditina ne appoggiò una sulla lingua e la inghiottì.
Cazzo,
le mie pastiglie. Mi guardava in modo strano, sembrava ipnotizzata. Poi slacciò
due o tre bottoni, scostò in basso il reggiseno e tirò fuori due tette
meravigliose. Mi eccitati subito e desiderai toccarle. Non feci a tempo a
finire di pensarlo che mi prese una mano e se la portò al petto. Erano enormi e
bellissime, lisce e gonfie che sembravano esplodere. Mi venne voglia di baciarle
e lei si abbassò sulla mia faccia e me le piazzò sul naso. Non avevo ancora
smesso di toccarle e di strizzarle ma iniziai a leccarle e a succhiarle i
capezzoli. Lei era come in trans ma le piaceva perché gemeva piano sopra la mia
testa.
Mi
rendevo conto che stava succedendo qualcosa di strano, ma la cosa più
straordinaria era che mi sembrava normale.
Avevo
la sensazione che non poteva essere altro che così. Non ci pensai più e mi
occupai di quella femmina.
Anticipava
ogni mio desiderio, mi prese una mano e se la infilò sotto il camice, tra le
gambe, il caldo umido che trapassava il tessuto delle mutandine mi fece salire
la pressione tanto che il lenzuolo sembrava una “canadese”.
Volevo
di più, volevo sentire la sua bocca. Lei scostò il lenzuolo e si gettò su di
lui. Con quella manina lo afferrò e iniziò a fare su e giù. La sua mente in
qualche modo era collegata alla mia, non capivo ancora né come e né perché.
Cazzo stava facendo tutto quello che volevo. Ormai me ne stavo venendo, avrei
voluto scoparla e prima affondare la faccia tra le sue cosce ma non ce la
facevo più. Quell’espressione assente e nello stesso tempo vogliosa e quella
sua accondiscendenza nel soddisfare tutte le mie voglie mi stava facendo
godere. Volevo farcirla e sporcarla con il mio seme e lei aprì la bocca golosa
dove il mio piacere si sciolse con la sua saliva.
Il
mio orgasmo pose fine a qualcosa, me ne accorsi senza capire esattamente cosa.
L’infermiera si ricompose e se ne uscì dalla stanza. Non ci dicemmo niente e io
rimasi lì sdraiato con il dorso della mano sulla fronte a pensare. Vedevo la
luce del neon attraverso le mie dita. Ripresi lentamente il bioritmo, e con la mente
lucida, lontana dalla bestialità di poco prima, mi ripetevo che un'infermiera, moretta
e per niente male mi aveva appena fatto un pompino.
No,
non poteva essere successo a me. Non solo, ero quasi sicuro che era successo
perché io lo avevo desiderato e lei non ha potuto sottrarsi ai miei voleri. Ci sarà
mica stato un collegamento con quel cazzo di fulmine? Era solo un sospetto ma
sentivo che le cose potevano stare proprio così. Mi sentivo da Dio ed ero
ansioso di scoprirlo al più presto. Cercai i miei vestiti e me ne andai.
Avevo
fame e in tasca trovai qualche moneta.
Dalla
parte di là della strada c’era un chiosco. Con i soldi che avevo ci veniva
giusto un panino e una birra e qualche centesimo di resto. Glieli lasciai, non
avevo altro ma non mi importava. Ingollai il mio spuntino e mi rivolsi al tipo
del chiosco:
“Hey
mi offriresti una sigaretta?” L’accesi e aspirai profondamente, trattenni un
attimo il fumo e all’improvviso mi sono guardato tutto per vedere se usciva da
qualche parte. Non so davvero spiegarvi come mai mi era venuto in mente che
potevo avere qualche buco da qualche parte da dove potesse uscir fuori il fumo
della sigaretta. Lo espirai dalla bocca e me ne andai e non ci pensai più anche
se la sensazione di avere dei buchi sul corpo era stata talmente forte che
quasi mi sarei spogliato li in mezzo alla strada per controllare, ma il fumo
non era uscito da nessuna parte e quindi voleva dire che di buchi non ce n’erano.
Camminavo
verso casa sui marciapiedi affollati, sapevo che abitavo lontano ma non mi
preoccupavo di farmela a piedi, anzi, quella gente mi interessava. La gente non
mi era mai interessata veramente, prima intendo, me ne rendevo conto osservando
vecchi egoisti e malfermi, adolescenti puzzolenti di sigaretta e di sudore,
donne gravide e infelici, madri ansiose con le gambe pelose, professionisti ben
vestiti e disonesti, coppie che sembravano recitare una parte, ubriaconi senza
denti che paradossalmente sorridevano più di gusto di chi i denti ce li ha
tutti ma non ha un motivo per farlo, ecc.
Avevano
tutti in comune una cosa, erano pedoni che mi venivano incontro o che mi
sorpassavano perché camminavo lentamente.
Chissà
come e perché questo cazzo di fulmine mi ha fatto cambiare questa cosa, intendo
questa curiosità verso questo allevamento di pollame pettinato e vestito alla
moda. Era un po’ come se in quelle facce cercassi qualcosa, qualcosa che sono
stato anch’io e che ora non ero più. Cercavo di capire come cazzo facevano questi
a vivere così, sudati ipocriti e puzzolenti. Masticatori di cibo solo per poter
cagare di nuovo.
Forse
in fondo cercavo me stesso in quelle facce, cercavo di capire come ero prima,
dello schifo che facevo e forse era il primo passo per capire cosa ero
diventato. Cercavo di immaginarmi cosa potessero pensare quei manichini,
cercavo di ascoltare quello che si dicevano: informazioni, opinioni, lamentele,
battute divertenti.
Più
cercavo di ascoltare e più mi sembrava di sentire davvero.
Stavo
sentendo ciò che dicevano e ciò che pensavano, sentivo tutto, parole dette o
pensate fino in fondo alla strada. Sentivo tutto in una volta sola. Era tutto
lì, nell’aria o chissà dove ma comunque lì e capivo che tutto ciò poteva
sentirlo chiunque ma erano tutti impegnati a parlare o a pensare e nessuno
stava ascoltando.
Erano
come in mostra in una vetrina desiderosi di farsi ammirare o semplicemente
notare e non interessava a nessuno essere ascoltati davvero, volevano solo
esserci. Erano soli. Ma il Sole brilla, loro invece proiettavano ombre senza la
luce.
Improvvisamente
mi era chiaro che io ero stato come loro: ignorante, impaurito e sudato.
Nessuno di loro mi vedeva, ero come una comparsa in un film sordo.
Ammetto
che all’inizio li disprezzavo perché ne vedevo la puzza ma poi raccolsi un
volantino dove dalla bocca di una faccia da peluche usciva un fumetto con
scritto: RIDI CHE TI PASSA!
Lo
presi in parola e mi misi a ridere e finché non lo feci non mi ero reso conto
di quanto tutto quello che c’era lì, in quel marciapiede, ma non solo, dentro
le auto e i tram che passavano, dentro le case sopra la strada, insomma tutto
quanto era terribilmente divertente.
Più
ridevo e più mi facevano pena e più mi facevano pena e più smettevo di
disprezzarli. Anche perché non era necessario: si disprezzavano già da soli.
Capitolo due
L’avevo
già vista poco prima in strada ma non l’avevo notata mentre ascoltavo gli
inutili. Avrà avuto sei o sette anni. In effetti era l’unica che mi vedeva là
in mezzo. Non ci avevo fatto caso perché i bambini spesso si fermano a guardare
cose che gli adulti non vedono.
Mi
sembrava normale ma non lo era affatto. Ora che la vedevo giù in strada col
naso in su che mi guardava come fossi un dipinto e la finestra la cornice, mi
era chiaro che la bimbetta era difettosa: funzionava bene lei. Capivo che
voleva salire così le feci un cenno e quella sgambettò svelta verso le scale.
“
Se non mi avessi invitato non sarei salita”
Voltai
lo sguardo dalla strada e PORCAPUTTANA, vidi che era già in casa
“Come
hai fatto?”
“A
cosa fare?”
“Lo
sai. A salire così velocemente.”
“Il
tempo non esiste”
“D’accordo
ma le scale sì e siamo al quinto piano”
“Anche
le scale non esistono, ci sono solo le porte che ci puoi entrare o uscire e io
sono semplicemente entrata da quella”
Indicò
la porta chiusa, non capii ma lasciai perdere.
“Come
ti chiami?”
“Vangela
e tu non te lo ricordi più il tuo nome, devi leggerlo nei documenti ma si è
cancellato anche da lì perché tu non esisti più”
“Fammi
vedere” dissi
Presi
il portafoglio e cercai un documento. Trovai solo un preservativo scaduto e il
numero di telefono di una puttana che lavorava in casa, in una bettola di
periferia ma i documenti non c’erano.
“Li
avrò lasciati in ospedale” dissi
“No”
rispose la bimbetta “Li hai lasciati nell’altra vita”
Feci
una faccia come quella che farebbe uno che forse capiva ma che stentava a
credere, lei mi lesse nel pensiero e aggiunse:
“Hai
passato una porta ma non come quella” e indicò di nuovo la porta di casa “molto
diversa. Eri in una vita e ora sei in un’altra” Feci la stessa faccia di prima.
Vangela mi lesse di nuovo nel pensiero e disse:
“Lo
so che lo sai, non fare quella faccia” ma io non potevo fare nessun’altra
faccia e dissi:
“Spiegati
meglio”
“Spiegamelo
tu”
“Cioè?”
“Raccontami
con parole tue quello che ti è successo” e alzò le mani con aria innocente.
“D’accordo..
ehm.. bhé dunque, pioveva e un fulmine ha centrato la mia auto, da lì non
ricordo più niente, so solo che poi mi sono svegliato in ospedale e stavo
benissimo anche se tutti erano preoccupati per me, poi un’infermiera è venuta a
portarmi delle pillole per farmele mandare giù ma invece ne ha ingoiata una lei
e poi mi ha fatto un pompino! Cazzo scusa, potevo usare un eufemismo”
“Tranquillo,
non sembro ciò che Sono, vai avanti”
“E’
tutto qua, poi sono venuto a casa”
Si
guardò un po’ intorno
“Questa
è casa tua?”
“Sì”
“Fa
schifo”
“Lo
so ma sono in affitto”
“Cioè
vuol dire che sei tu che paghi per viverci dentro?”
“Già”
“Lo
capisci che non sei più come quelli che vedevi là in strada?”
“In
strada stavo solo guardando le persone”
“No,
in strada hai iniziato a capire che non sei più come loro: ora tu vedi come
sono fatti i loro pensieri e puoi decidere di essere altro”
“Sono
un po’ confuso, forse dovrei dormire un po’ ”
“Ti
sei appena svegliato ma ancora non lo sai, io sono qui per dirti questo e per
dirti che ti devi dare un nome nuovo e non devi più firmare niente, che tutto
quello che pensi si avvera e che devi promettere solo cose che sono giuste”
“Altrimenti?”
“Altrimenti
fai incazzare la parte più vera di te stesso, che poi è anche la mia e quella
di tutti e di tutto ciò che esiste, che poi manda me a tirarti le orecchie”
“Cioè
Dio?”
“Non
lo nominare perché è inutile, nessuno ‘Qui’ può capire cos’E’, sappi solo che
non sembra ciò che E’ ”
“L’ho
già sentita questa, ma tu chi sei?”
“Io
sono Vangela e sono qui per aiutarti a diventare quello che Qualcosa ha deciso
che diventassi”
“Quindi
non è stato un caso se mi ha colpito quel fulmine?”
“Sì
e no, quel fulmine doveva colpire qualcuno ma è stato deciso che colpisse a
caso per vedere cosa sarebbe successo, sei un esperimento”
Rifeci
la faccia di prima, di uno che forse capisce ma che stenta a credere.
“Che
nome ti darai?” incalzò la ragazzina.
“Non
lo so, è importante che decida adesso?”
“No,
pensaci su se ti va, noi ti abbiamo chiamato Zot, se non ti piace lo puoi
cambiare”
“Zot
è il rumore che fa il fulmine in Topolino. D’accordo, mi piace”
“E’
una figura retorica che si chiama onomatopea, è la trasposizione scritta di un
suono o di un rumore, se Zot è il rumore di quel fulmine tu devi diventarne la
Luce, se ci riesci l’esperimento avrà funzionato. Ora devo andare. Basta che mi
pensi e io appaio ma mi vedrai apparire anche se farai cazzate…. E le farai. Ciao
Zot”
Si
alzò, si diresse verso la porta, la attraversò da chiusa e scomparve. La prima
domanda che mi venne in mente è se poteva passare anche attraverso i muri e se
sì come mai ogni volta passava dalla porta.
Mi
rispose subito ma da dentro la mia testa: perché esistono solo le porte che
congiungono i mondi. I muri come le scale non esistono e quindi non ci si può
passare attraverso.
Stavolta
feci una faccia diversa, una faccia come quella che farebbe uno che dice: Sticazzi!
Mi
scappava da pisciare andai in bagno e mi svuotai. Guardandomi il cazzo mi venne
in mente che Vangela probabilmente quindi mi aveva visto, e chissà da dove,
quando ho, diciamo così, convinto l’infermiera a farmi un pompino. Lo scrollai
e lo rinfilai dentro, in quel momento mi rispose di nuovo da dentro la mia
testa: Sì ti ho visto ma è normale che all’inizio uno come te fa delle
cazzate simili, tranquillo lei non si ricorda niente e te, se non fai cazzate simili,
non puoi capire e se non capisci non progredisci.
“Quindi
posso fare tutte le cazzate che voglio?”
Ho
detto all’inizio!
“Ah ok”
Premetto che ho acquistato il libro perché conosco Davide,(autore)ma,essendoci persi da un po di anni ( io vivo all estero)è stato un po come cercar di recuperare il tempo perso provando a capire,leggendo il libro ,come lui sia cresciuto,cambiato e che direzione potessero aver preso i suoi ideali,concetti ,sentimenti ecc.. da quelli che erano quando eravamo ragazzi.
RispondiEliminaDetto questo,passiamo al libro! Devo dire che ha superato le mie aspettative perché parte come un racconto assolutamente interessante,che stimola curiosità e sempre piu voglia di leggere, ma dove pian piano si aggiungono concetti e si creano situazioni che ti fanno riflettere molto ed immedesimare profondamente nei personaggi.
Da metà libro in poi ci si incuriosisce non solo per come finirà la storia ma ci si chiede anche "cosa mi vorrà dire?".
Francesca