Realtà
e fantasia sono dimensioni ben distinte eppure possono essere messe
in relazione. I confini sembrano ben marcati, talvolta una fantasia può
diventare reale o avverarsi in futuri o contesti lontani o diversi. Del resto
ciò che consideriamo reale, dal punto di vista del sapere umano, è limitato
alle nostre conoscenze e soprattutto alle nostre percezioni. Sono queste ultime
a delimitare la conoscenza perché difficilmente si scorgono realtà celate o
peggio, convinzioni limitate spesso confinano nei recinti dogmatici
dell’Impossibilità dimensioni possibili ma momentaneamente non accessibili.
“Credo
solo in ciò che vedo” afferma lo scettico ma è oltremodo possibile affermare il
contrario: “vedo solo ciò in cui credo” perché le credenze limitano le
percezioni ma le possono anche amplificare. Se non credo a dimensioni superiori
o parallele solo perché non le vedo, molto probabilmente questo inibisce o
altera le possibilità di scorgerle. Se intuisco realtà più allargate forse
dilato il mio essere verso di esse e potrei allenare i sensi a scorgerle.
Siamo
il prodotto delle nostre credenze, della nostra cultura indotta o auto indotta
e delle nostre convinzioni e galleggiamo arroganti in tutto questo non tenendo
conto che della Realtà, sia come conoscenza oggettiva sia come percezione
individuale, ne conosciamo solo una parte infinitesimale.
Coloro
che per qualche misterioso motivo hanno sviluppato percezioni più dilatate e
dunque riescono a scorgere porzioni di Realtà più allargate, non hanno nessun
modo per dimostrarlo al grande pubblico che, senza sforzo e senza nessun atto
di fiducia, rimane chiuso nei propri recinti.
“Se
non lo vedi tu non è detto che non esiste”
Credo
sia giusto che soltanto coloro che si aprono a realtà superiori o parallele
possano raggiungerle e credo sia giusto che non esista un modo per provarlo da
parte di coloro che in qualche modo ne fanno esperienza perché se sono
dimensioni che dobbiamo raggiungere spontaneamente, individualmente e
autonomamente, una “prova” schiacciante risulterebbe alla stregua di
un’imposizione. Sono sufficienti le testimonianze cosicché ognuno, con i sui
tempi, può mettere mano ai propri filtri.
Dunque
dedico questo racconto ai coraggiosi che mettono in discussione la Realtà e
credono a possibilità infinite della stessa. Per costoro la fantasia è solo un
modo per immaginare mondi possibili e se questo mondo in cui viviamo non ci
piace, soltanto immaginandone altri di migliori possiamo dare inizio ad altre
Realtà. E così forse i confini tra Realtà e fantasia non sono così marcati.
UNO
Improvvisamente ci
fu uno scatto meccanico seguito da un sibilo dovuto al gas che riempì le
condutture dei pistoncini delle coperture delle capsule. Queste si aprirono
dopo un tempo indefinito. Un suono simile ad un allarme si diffuse per tutti i
corridoi della gigantesca nave. Le telecamere iniziarono a muoversi emettendo
negli ambienti i laser dei sensori di movimento.
Secoli,
forse perfino uno o due millenni trascorsero mentre le capsule si mantennero
ben chiuse, tenendo il loro contenuto bene al sicuro, vivo e pronto a
ri-svegliarsi.
I.Artye
aveva da poco terminato l’analisi dell’aria e processò il rapporto con tutti i
dati e lo salvò sul desktop, pronto per essere stampato dal comandante non
appena si fosse ri-svegliato.
I
protocolli stabilivano che le condizioni erano ottimali per l’apertura delle
capsule. Ma questo evento era la conseguenza di un altro e straordinariamente
importante avvenimento: I.Artye, dopo un viaggio infinito, dotata dei suoi
strumenti, aveva trovato là fuori qualcosa di enormemente importante.
Una
volta aperte le capsule dalla copertura trasparente, iniziò il processo
automatico di disibernazione.
Un
certo numero di ugelli, posti lungo le pareti interne dei contenitori,
iniziarono a spruzzare un liquido azzurrognolo, uno spruzzo copioso tanto da
riempire l’involucro fino a sommergere completamente fino al naso i corpi
rigidi e congelati. Da dietro le teste, un braccetto meccanico posizionò sui
volti una maschera per l’ossigeno dal quale era pronto a fuoriuscire il gas che
avrebbe attivato tutte le funzioni vitali. Questa era una prima fase per la
disibernazione, e tutto stava procedendo secondo il programma. I.Artye stava
monitorando tutta l’operazione attraverso i sensori posizionati sui
braccialetti e sul petto dei corpi.
Il
liquido iniziò molto lentamente a salire di temperatura e una volta arrivato a
36.5°, alcune sonde, anch’esse poste nelle pareti delle capsule, iniziarono a
emettere scariche intermittenti di energia plasmettrica. Il liquido venne
stimolato da queste scariche e increspandosi trasmise l’energia all’interno dei
corpi a tutti gli organi vitali.
I.Artye
spostò al centro del grande monitor i popup dei battiti cardiaci di ognuno degli
ufficiali che secondo il protocollo dovevano ri-svegliarsi per primi. Tutto
stava procedendo alla perfezione. I.Artye computava tutti i dati con il
software progettato per questa incredibile e poco sperata circostanza.
Dopo
un tempo incalcolabile, nel quale l’equipaggio e un certo numero di passeggeri
vagarono ibernati nello spazio, l’Intelligenza Artificiale posta al comando
della nave, dopo un’infinita ricerca durata millenni, trovò finalmente un
sistema stellare con caratteristiche simili al nostro, dove presumibilmente
avrebbe potuto orbitare un pianeta adatto ad ospitare la vita, la loro vita.
Una
volta entrata nel sistema stellare I.Artye si avvicinò al pianeta individuato,
mandò sulla superficie una sonda e dopo attente e precise misurazioni stabilì
che il pianeta poteva essere abitabile per gli esseri umani e iniziò così la
procedura di scongelamento.
I.Artye
era stata dotata dagli ingegneri informatici di un software per calcolare in
anni terrestri il tempo trascorso nello spazio profondo, ben sapendo che
qualunque data avrebbero trovato al loro sperato risveglio non poteva davvero
essere attendibile per effetto della relatività del tempo nello spazio.
Tuttavia sarebbe stato comunque un dato importante seppur considerato con molta
approssimazione.
Un
piccolo display del grande pannello di controllo, con caratteri rossi mostrava
una sequenza numerica che indicava la data 4025. Gli ingegneri erano sicuri che
il dato sarebbe stato senza dubbio attendibile e sarebbe stato all’incirca il
tempo trascorso all’interno della nave, tuttavia non poteva però essere
considerato il tempo effettivo trascorso nel Cosmo dove verosimilmente
regnavano altre regole, altri valori.
La
nave, nella sua ricerca, avrebbe viaggiato per molti anni luce attraversando
sistemi stellari che presumibilmente erano governati da leggi fisiche diverse e
sconosciute pertanto un calcolo effettivo del tempo trascorso, sostenevano gli ingegneri,
era impossibile stabilirlo. A livello teorico, fuori dalla nave nel Cosmo, avrebbe
potuto trascorrere un tempo che poteva andare da 0 a infinito.
Tuttavia
secondo il calcolo interno di I.Artye, due millenni prima, la gigantesca H.a.L.
(Hope in another Life) partì dalla Terra in fuga dopo la devastazione globale
per un conflitto nucleare.
La
H.a.L. rappresentava, per il livello tecnologico raggiunto dall’umanità in
quelle lontane epoche, l’avanguardia del programma spaziale ed era stato
portato a termine attraverso uno sforzo congiunto delle agenzie spaziali delle stesse
nazioni che poi si sarebbero affrontate auto eliminandosi in un conflitto nucleare.
Il progetto iniziale non aveva avuto lo scopo di creare un mezzo per fuggire dalla
stupidità umana, bensì le agenzie spaziali avevano messo a punto un programma
finalizzato alla ricerca di esobiologia capace finalmente di varcare i confini
del nostro sistema solare.
Tant’è
vero che il nome originale era R.a.L. (Research for another Life)
Al
momento della partenza presero posto a bordo gli ufficiali ingegneri e
scienziati in genere già assegnati al programma spaziale, l’equipaggio di
servizio, le loro famiglie (coniugi e figli), un certo numero di civili,
reclutati a caso in modo disperatamente rapido tra le conoscenze più prossime
del personale di bordo.
La
H.a.L. era già stata progettata e costruita per ospitare, durante i suoi viaggi
interstellari in modalità ibernazione, un numero massimo di 440 esseri umani.
Subito
dopo i primi lanci dei missili nucleari, decaddero all’istante tutte le
autorità istituzionali, per prime nei paesi coinvolti direttamente nel
conflitto, e una volta che l’umanità comprese la portata della devastazione,
saltarono i governi di tutto il mondo. L’agenzia spaziale che progettò la
H.a.L. era apolitica e la sua sede era ospitata per motivi tecnici in un
piccolo paese dell’America Latina, colonia di una delle super potenze che
iniziarono il conflitto nucleare.
In
quel paese il progetto era Top Secret tanto che anche i funzionari stessi di
quello stato, compreso il presidente in carica, erano all’oscuro dell’oggetto
dell’attività dell’agenzia, sia dei reali obbiettivi tanto più dei risultati
ottenuti negli ultimi anni. In quelle condizioni fu relativamente facile per
gli ufficiali organizzare la partenza per la fuga, nel momento che compresero
la drammaticità della situazione mondiale, perché non dovettero farsi
autorizzare da nessuno.
Dalle
zone limitrofe dell’area di lancio, la popolazione semplicemente assistette al
decollo di quella impressionate nave di cui nessuno conosceva l’esistenza tantomeno
potevano immaginare la possibilità che un oggetto simile potesse esistere.
Sebbene
la H.a.L. fosse al suo primo lancio sperimentale, quegli uomini avevano una
possibilità e l’hanno colta immediatamente, ben sapendo comunque i limiti della
nave che non poteva salvare che poche persone.
E fu
proprio il comandante Stuart Miller a prevedere in anticipo l’escalation degli
eventi, anche grazie forse a una “voce” che gli arrivò dalle sale governative.
In tempi miracolosamente perfetti e con la dovuta cautela, riuscì a radunare
tutti i suoi ufficiali e tutto l’equipaggio.
Ordinò
loro di non fare parola con nessuno dell’imminente partenza, solo con mogli,
mariti e figli, perché ovviamente, se la notizia fosse trapelata, avrebbe fatto
arrivare sul posto migliaia di persone in cerca di una speranza.
Al di
là dell’oggettiva impossibilità di salvarli tutti, un’eventuale folla che
potesse spingere agli ingressi dell’area di lancio, sarebbe stata comunque una
pericolosa presenza che avrebbe sicuramente impedito anche la loro partenza.
Molti
membri dell’equipaggio in quei giorni si trovavano nei loro rispettivi paesi ma
poco prima che vennero cancellati tutti i voli, Stuart Miller, con l’aiuto del
suo vice, la dottoressa Perla Hoover, riuscì a rintracciarli tutti.
In
fretta e furia ognuno di loro si preparò per la partenza e raggiunsero tutti la
destinazione appena in tempo.
Stuart
Miller propose loro di portare due parenti o due amici ciascuno tra le persone
che conoscevano e, nonostante tutti fossero al corrente della possibilità per
la H.a.L. di ospitare estranei, si resero tutti conto che stavano praticamente
popolando niente di meno che un’Arca.
Si
può immaginare quanto può essere stato difficile scegliere due persone da
portare con sé oltre ai propri famigliari..
DUE
Il
protocollo prevedeva che, nella circostanza felice
dell’individuazione di un pianeta presumibilmente abitabile, tra il comandante
e il suo vice, fosse quest’ultimo a risvegliarsi per primo.
Il Primo
Comandante sarebbe stato preservato nello stato di ibernazione fino al momento
di una effettiva garanzia che il ritrovamento potesse a tutti gli effetti
dimostrarsi favorevole.
Nel
caso di un errore o comunque nella triste condizione di non poter godere, per
qualsiasi motivo, del pianeta raggiunto, il Primo Comandante sarebbe stato
preservato per proseguire verso un’altra eventuale chance, perché una seconda
ibernazione era possibile solo a livello teorico, dato che tale opportunità non
era ancora stata sperimentata a fondo con tutte le relative conseguenze.
In
tutti i modi, per motivi di sicurezza, una seconda ibernazione avrebbe
richiesto almeno il trascorrere di 360 giorni dal primo risveglio.
Il
primo Comandante doveva risvegliarsi solo di fronte a un margine di errore, o
di varie impossibilità, prossimo allo 0.
Insieme
a Perla Hoover, I.Artye risvegliò anche un certo numero di ufficiali, quelli
con le competenze per affrontare le prime fasi del lieto momento. A risvegliare
tutti gli altri, eventualmente, sarebbero stati proprio i primi ufficiali, dopo
che l’analisi dei dati, nondimeno un sopralluogo sul pianeta, avessero
confermato di aver davvero trovato una “Casa”.
Il
primo ad aprire gli occhi fu il francese Etienne Boatiè, capo medico biologo.
Un uomo altissimo dalle origini scandinave. L’agenzia dovette costruire una
cella appositamente per lui con le dimensioni sufficienti per poterlo
contenere.
Dapprima
i suoi occhi erano solo socchiusi, mostrando un profondo torpore sia fisico sia
della sua coscienza. Trascorse qualche secondo nel quale presumibilmente il
risveglio lo stava accompagnando a comprendere e a ricordare chi fosse e dove
si trovava.
Improvvisamente
i suoi occhi si spalancarono in una orribile espressione di terrore. Tentò di
muovere gli arti per cercare di liberarsi e di fuggire ma lo scienziato non
sapeva nemmeno esattamente da cosa. La sua paura era apparentemente immotivata.
Tentò di urlare ma non riusciva nemmeno ad aprire la bocca. Il suo cuore
accelerò fino ai limiti possibili rischiando un arresto cardiaco.
I.Artye
stava monitorando attentamente tutto quanto. Era addestrata a fronteggiare una
simile circostanza: dal lato sinistro dell’involucro, all’altezza del collo, fece
fuoriuscire rapidamente un lunghissimo ago che si introdusse nell’arteria
principale e inoculò al francese un potente sedativo.
Etienne
Boatiè sentì il proprio cuore rallentare la frequenza del battito ma non smise
ancora di provare un profondo e terrificante terrore. Alcuni sensori, posti
sulle tempie dell’uomo, monitoravano l’attività cerebrale e informarono I.Artye
che il medico era pronto per ascoltare la sua sensuale voce femminile.
<< Ben
risvegliato Etienne, i dati mi indicano che sai dove ti trovi e che ricordi il
tuo nome. >>
Nel
frattempo si schiusero gli occhi anche del secondo ufficiale prossimo al
risveglio: la dottoressa Hola Hing, cinese, biologa marina con una
specializzazione nello studio dell’atmosfera di pianeti abitabili.
I.Artye
poteva monitorare contemporaneamente tutti gli ufficiali che erano prossimi al
loro risveglio. Sembrava che anche il secondo mostrasse la stessa anomalia
emozionale del primo.
Il
protocollo aveva previsto, nelle fasi del risveglio, la possibilità di
ricorrere a dei calmanti. Fortunatamente, altrimenti sarebbero morti di paura,
tuttavia I.Artye non aveva nessuna informazione utile per dare un significato
compiuto, appropriato e contestualizzato al momento, circa quella inaspettata
paura.
<<
Etienne, come da protocollo sono lieta di informarti che le mie ricerche hanno
prodotto un risultato. Stiamo orbitando intorno a un pianeta con altissime
probabilità che possa ospitare le vostre preziose vite. Non hai nessun motivo
di aver paura, i dati mi confermano che sai dove ti trovi, conosci la nostra
storia, da dove proveniamo e il motivo di questo viaggio. Vedo che sei già
parzialmente pronto per dare il tuo contributo scientifico. Tuttavia rilevo
un’anomalia emozio- nale di cui non riconosco la fonte. >>
I.Artye
poteva decifrare tutte le possibili sinapsi collegate alle emozioni conosciute
e le relative fonti ma di quella che stava provando il francese e da qualche
istante anche la cinese, non ne riconosceva l’origine. Di fronte a quell’inaspettato
stato emozionale, I.Artye era in grado soltanto di dare una lettura efficiente dell’effetto
senza poterne in alcun modo identificarne la causa.
Anche
Hola Hing ebbe un urgente bisogno del calmante. Lentamente si svegliarono anche
gli altri quattro membri dell’equipaggio, mentre le scariche di energia
plasmettrica, attraverso il liquido in cui erano ancora immersi, ripristinavano
la tonicità dei muscoli e favorivano il corretto flusso sanguigno.
Il
primo che riuscì a muovere i muscoli della bocca fu il geologo italiano,
Ascanio Galli. Aveva appena ricevuto la sua dose del calmante ma il farmaco che
rallentava il battito cardiaco, non impediva comunque a quegli uomini di
provare l’emozione che alterava le loro pulsazioni.
Non
appena fu fisicamente in grado, lanciò un urlo terribile. I.Artye non sapeva
che fare, non era preparata a questo, tutto ciò che poteva fare lo aveva già
fatto. Registrando comunque dei movimenti anomali dei loro corpi ancora dentro
agli involucri, li bloccò nuovamente ai polsi e alle caviglie con gli appositi
fermi. A uno a uno si svegliarono completamente e tutti quanti ebbero la stessa
identica reazione di panico manifestato con un terrificante grido.
I.Artye
ripeteva la solita frase di ben risvegliato con la relativa spiegazione della
fortuita scoperta e parlava a ruota come un disco incantato perché non aveva
nessun tipo di istruzione per fronteggiare quella straordinaria situazione. Nei
suoi file ricercava velocissima tutti i tipi di frasi che sarebbero potute
andare bene in situazioni simili.
I.Artye
era stata programmata per farsi domande in casi straordinari in cui non sapeva
come agire e l’unico modo che aveva per trovare le risposte era di mettere in
relazione tra loro concetti simili e creare dei sillogismi. Con le statistiche
e i calcoli di probabilità riusciva ad avvicinarsi alla soluzione di un
problema con una precisione e una velocità sorprendenti anche per i suoi stessi
creatori.
“Risveglio – paura - involucro – liquido
– amniotico – placenta – utero – nascita – pianto - madre.”
In
una frazione di secondo non trovò niente di più vicino a questo percorso logico
e subito iniziò la sua risposta: fece fuoriuscire dagli altoparlanti una
musichetta dolce e tranquilla come una ninna nanna a 432 Hz e dalla sua voce
uscirono parole rassicuranti con tono amorevole.
<<
Bambini
miei, sono la vostra mamma, sono raggiante di felicità per avervi dato alla
luce, la vostra nascita riempie di gioia il mio cuore. Vi amo in modo che non
potete ancora immaginare. Siete al sicuro, non dovete temere nulla, io sono qui
con voi. >>
Attraverso
i sensori si accorse dell’effetto che aveva su di loro quest’ultima frase e
iniziò a ripeterla in loop.
<< Io
sono qui con voi… Io sono qui con voi… Io sono qui con voi…>>
I.Artye
non poteva davvero comprendere quale fosse stato il problema ma si accorse che la
sua risposta funzionò. L’attività cerebrale di tutti loro rientrò lentamente
nella norma.
Si
limitò ad aggiungere la soluzione trovata al protocollo di “Risveglio dopo
ibernazione”.
TRE
Quando
finalmente uscirono dagli involucri, sconvolti e fortemente turbati,
subentrarono le prime fasi di ripristino delle normali attività mentali e
corporee. Si lavarono e si vestirono con le rispettive uniformi e si nutrirono
del contenuto di certe fiale endovenose, perché l’ingestione del cibo non sarebbe
stato possibile ancora per qualche giorno.
I.Artye
era sempre presente e controllava che tutto procedesse secondo le disposizioni.
Li aiutava a ricordare tutti i passaggi laddove ce ne fosse bisogno. Ognuno a
suo modo manifestava un certo ritardo sia nel ricordare che nelle azioni, che eseguivano
un po’ meccanicamente, come quasi non appartenessero più a quella realtà o
forse ai loro stessi corpi. Del resto, anche se essi percepivano un tempo
diverso, forse solo come una notte molto lunga, erano trascorsi invece due
millenni da quando erano stati ibernati.
Questo
tempo deve per forza aver avuto un peso in qualche modo, alterando
probabilmente molto del loro stesso antico essere. Se l’Anima esiste ed evolve all’unisono con
l’Universo attraverso le esperienze dentro ai nostri corpi, forse le loro
anime, intrappolate in quei corpi, furono obbligate a sospendere la loro
partecipazione al flusso che le guida tutte a riunirsi con l’Uno. Non si può
sapere se la loro palese sofferenza, o anche un semplice forte disagio, fosse
dovuto a questo.
Si
muovevano tutti in silenzio e quasi evitavano volutamente di guardarsi negli
occhi.
I.Artye
colse l’opportunità di parlare in privato con il vice comandante quando ella si
trovò sola sotto la doccia.
Le
ricordò i suoi doveri relativi alla missione iniziata moltissimo tempo fa.
L’aiutò a rientrare velocemente nel suo ruolo, a prendere il comando di quella
delicatissima missione. Le fece delle domande per confermare il suo stato di
salute mentale e per confermare definitivamente e inequivo- cabilmente che ella
sapeva perfettamente chi era e cosa doveva fare. Perla Hoover sotto la doccia
piangeva, annuiva a I.Artye e al contempo piangeva. Rispondeva alle sue domande
tra i singhiozzi tanto che capitò che dovette ripetere alcune parole perché la
sua interlocutrice non ne comprese alcune, distorte dal pianto.
I.Artye
dal canto suo si limitò a registrare le risposte e farle combaciare con il
programma di reintegro per autorizzare e riconfermare la gerarchia dei gradi.
Non poteva comprendere il motivo di quelle lacrime, infatti le scambiò per
l’acqua della doccia.
I
corpi degli ufficiali ovviamente non erano più in connessione con i sensori che
avevano all’interno degli involucri, quindi I.Artye non poteva più monitorare
l’attività cerebrale, tuttavia era dotata di uno speciale scanner che
attraverso la spettrometria e gli infrarossi poteva monitorare ugualmente,
anche se solo in parte, lo stato generale di salute ed emozionale. Tutti e sei mostravano
il medesimo affaticamento e condividevano pressappoco lo stato generale. Per
I.Artye questo era sufficiente per catalogarlo come “Reazione Normale” tanto più che era previsto che avessero scompensi
dopo il risveglio. Certamente non poteva capire cosa fosse che stava producendo
tali scompensi.
Il
vice comandante, rientrata nel pieno delle sue facoltà, diede un tempo per
riordinarsi e invitò tutti gli ufficiali a presentarsi in sala riunioni. Nel momento
in cui tutti e sei si trovarono uno di fronte all’altro, si guadarono e si
osservarono a lungo senza fiatare. Era come se si vedessero per la prima volta
conoscendo però, quasi come per sentito dire, tutto delle persone che avevano
davanti, i loro nomi, la loro storia, i loro pregi, i loro difetti. Era
sconvolgente per loro provare affetto, stima, simpatia o antipatia per i
compagni ma come fosse solo un ricordo. Un sentimento umano scorporato però
dalla passione che lo genera.
In
altre parole tutto ciò che provavano era alla stregua di un concetto, lontano
dal suo effetto che ha normalmente sul nostro essere e ben lungi dall’essere
connesso con i gusti e i valori che lo generano. Sentivano che il loro vero
essere era rimasto indietro di millenni e di quello nuovo non ne conoscevano
l’entità.
<< Ben
risvegliati a tutti voi. >>
Parlò
per prima Perla Hoover, il loro comandante.
<<
I.Artye
ha già fatto il rapporto sulle nostre condizioni psicofisiche e ha dato l’ok
per procedere. >> Poi si rivolse al medico francese <<
Etienne, hai qualcosa da aggiungere? >>
<<
No
comandante… almeno…>> e fece una pausa guardando
Kurt Milton, lo psicologo << Almeno non per i dati medici
fornitici da I.Artye, tuttavia…>> e continuò a fissare
lo psicologo come a esortarlo a intervenire. Ci fu silenzio. Kurt Milton prese
un lungo respiro, come quando si ha un groppo in gola ma non si ha il coraggio
o la forza di sputarlo fuori.
Tutti
sapevano che c’era qualcosa che non andava, tutti sapevano cha anche tutti gli
altri lo sapevano ma in quel momento nessuno di loro aveva gli strumenti per
affrontarlo dentro loro stessi tanto meno potevano in qualche modo parlarne
apertamente anche perché non sapevano che cos’era che non andava dentro i loro
esseri. Probabilmente erano ancora sotto l’effetto del sedativo che in tutti i
modi ha salvato loro la vita. Per tutti loro era più facile comportarsi come
automi, pronti e preparati a seguire il protocollo.
Perla
Hoover, nella sua veste di comandante, si sentì obbligata a dire qualcosa per
uscire da quello stato di tensione ma la anticipò l’italiano
<< Se
avete visto quello che ho visto io … ci sono cose ben più importanti da
affrontare prima di trovare una nuova casa. >>
Tacquero
tutti guardandolo negli occhi come a confermare ciò che aveva appena detto ma
ancora senza nessuna possibilità di affrontare l’argomento. In tutti i modi
Ascanio Galli aveva rotto il ghiaccio.
I.Artye
stava ascoltando e come da istruzioni stava monitorando e vagliando ogni cosa.
Sapeva benissimo che una volta reinserito il comandante, lei si doveva auto
ridimensionare al ruolo di semplice servizio, senza prendere iniziative. Ma
appunto il suo ruolo era anche di segnalare anomalie o evidenziare
imprecisioni, difetti o distorsioni in genere quindi le parole di Ascanio Galli
andarono in conflitto con il progetto intero della spedizione.
Non
esisteva nulla di più importante che trovare una “casa”, non per I.Artye e
nemmeno per ognuno di loro ai tempi in cui partirono dalla Terra. Ma qualcosa
era cambiato in quei due millenni e I.Artye non poteva davvero comprenderlo e
decodificarlo.
<<
Affronteremo questa cosa, statene certi >>
intervenne il comandante mostrando finalmente la appropriata intra- prendenza di
cui era dotata << È evidente che non siamo ancora pronti.
Propongo … anche se dovrei dire “vi
ordino” … di proseguire e avanzare con
gli step successivi della missione. Al momento non vedo cosa potremmo fare
oltre a questo. Abbiamo anche degli obblighi e dei doveri nei confronti di
tutti gli altri. Abbiamo una responsabilità enorme ma lo sapevamo, non è vero? >>
Annuirono
tutti, Perla Hoover continuò << È cambiato qualcosa
in questi due millenni, qualcosa che non potevamo prevedere, qualcosa che
I.Artye non conosce perché noi non la conoscevamo prima di adesso e non
l’abbiamo programmata al riguardo. Qualcosa ci ha cambiato ma è evidente che
non siamo ancora in grado di comprenderla.
Procediamo
con la missione tentando di integrare dentro di noi questa cosa, sono
sicurissima che presto o tardi si farà capire e usciremo da questa nebbia.
Siamo sani e in perfetta forma non possiamo che procedere!
>>
Si
trovarono tutti d’accordo. Quel momento fu significativo: anche se di un
millimetro soltanto, erano usciti da quell’oscuro torpore in cui versavano
tutti. Ognuno di loro si sentiva come fosse alla guida di un enorme camion ma
del quale, dal posto di guida, non riuscivano a raggiungere i pedali con i
piedi. Ma in qualche modo ne avevano parlato, avevano trovato un punto comune e
per quanto in quel momento potesse sembrar loro insignificante o quasi, fu il
vero inizio di tutto quanto.
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