L'ALTRO MONDO - Anteprima primi tre capitoli

 



    Realtà e fantasia sono dimensioni ben distinte eppure possono essere messe in relazione. I confini sembrano ben marcati, talvolta una fantasia può diventare reale o avverarsi in futuri o contesti lontani o diversi. Del resto ciò che consideriamo reale, dal punto di vista del sapere umano, è limitato alle nostre conoscenze e soprattutto alle nostre percezioni. Sono queste ultime a delimitare la conoscenza perché difficilmente si scorgono realtà celate o peggio, convinzioni limitate spesso confinano nei recinti dogmatici dell’Impossibilità dimensioni possibili ma momentaneamente non accessibili.

“Credo solo in ciò che vedo” afferma lo scettico ma è oltremodo possibile affermare il contrario: “vedo solo ciò in cui credo” perché le credenze limitano le percezioni ma le possono anche amplificare. Se non credo a dimensioni superiori o parallele solo perché non le vedo, molto probabilmente questo inibisce o altera le possibilità di scorgerle. Se intuisco realtà più allargate forse dilato il mio essere verso di esse e potrei allenare i sensi a scorgerle.

Siamo il prodotto delle nostre credenze, della nostra cultura indotta o auto indotta e delle nostre convinzioni e galleggiamo arroganti in tutto questo non tenendo conto che della Realtà, sia come conoscenza oggettiva sia come percezione individuale, ne conosciamo solo una parte infinitesimale.

Coloro che per qualche misterioso motivo hanno sviluppato percezioni più dilatate e dunque riescono a scorgere porzioni di Realtà più allargate, non hanno nessun modo per dimostrarlo al grande pubblico che, senza sforzo e senza nessun atto di fiducia, rimane chiuso nei propri recinti.

“Se non lo vedi tu non è detto che non esiste”

Credo sia giusto che soltanto coloro che si aprono a realtà superiori o parallele possano raggiungerle e credo sia giusto che non esista un modo per provarlo da parte di coloro che in qualche modo ne fanno esperienza perché se sono dimensioni che dobbiamo raggiungere spontaneamente, individualmente e autonomamente, una “prova” schiacciante risulterebbe alla stregua di un’imposizione. Sono sufficienti le testimonianze cosicché ognuno, con i sui tempi, può mettere mano ai propri filtri.

Dunque dedico questo racconto ai coraggiosi che mettono in discussione la Realtà e credono a possibilità infinite della stessa. Per costoro la fantasia è solo un modo per immaginare mondi possibili e se questo mondo in cui viviamo non ci piace, soltanto immaginandone altri di migliori possiamo dare inizio ad altre Realtà. E così forse i confini tra Realtà e fantasia non sono così marcati.

 

 UNO

 

    Improvvisamente ci fu uno scatto meccanico seguito da un sibilo dovuto al gas che riempì le condutture dei pistoncini delle coperture delle capsule. Queste si aprirono dopo un tempo indefinito. Un suono simile ad un allarme si diffuse per tutti i corridoi della gigantesca nave. Le telecamere iniziarono a muoversi emettendo negli ambienti i laser dei sensori di movimento.

Secoli, forse perfino uno o due millenni trascorsero mentre le capsule si mantennero ben chiuse, tenendo il loro contenuto bene al sicuro, vivo e pronto a ri-svegliarsi.

I.Artye aveva da poco terminato l’analisi dell’aria e processò il rapporto con tutti i dati e lo salvò sul desktop, pronto per essere stampato dal comandante non appena si fosse ri-svegliato.

I protocolli stabilivano che le condizioni erano ottimali per l’apertura delle capsule. Ma questo evento era la conseguenza di un altro e straordinariamente importante avvenimento: I.Artye, dopo un viaggio infinito, dotata dei suoi strumenti, aveva trovato là fuori qualcosa di enormemente importante.

Una volta aperte le capsule dalla copertura trasparente, iniziò il processo automatico di disibernazione.

Un certo numero di ugelli, posti lungo le pareti interne dei contenitori, iniziarono a spruzzare un liquido azzurrognolo, uno spruzzo copioso tanto da riempire l’involucro fino a sommergere completamente fino al naso i corpi rigidi e congelati. Da dietro le teste, un braccetto meccanico posizionò sui volti una maschera per l’ossigeno dal quale era pronto a fuoriuscire il gas che avrebbe attivato tutte le funzioni vitali. Questa era una prima fase per la disibernazione, e tutto stava procedendo secondo il programma. I.Artye stava monitorando tutta l’operazione attraverso i sensori posizionati sui braccialetti e sul petto dei corpi.

Il liquido iniziò molto lentamente a salire di temperatura e una volta arrivato a 36.5°, alcune sonde, anch’esse poste nelle pareti delle capsule, iniziarono a emettere scariche intermittenti di energia plasmettrica. Il liquido venne stimolato da queste scariche e increspandosi trasmise l’energia all’interno dei corpi a tutti gli organi vitali.

I.Artye spostò al centro del grande monitor i popup dei battiti cardiaci di ognuno degli ufficiali che secondo il protocollo dovevano ri-svegliarsi per primi. Tutto stava procedendo alla perfezione. I.Artye computava tutti i dati con il software progettato per questa incredibile e poco sperata circostanza.

Dopo un tempo incalcolabile, nel quale l’equipaggio e un certo numero di passeggeri vagarono ibernati nello spazio, l’Intelligenza Artificiale posta al comando della nave, dopo un’infinita ricerca durata millenni, trovò finalmente un sistema stellare con caratteristiche simili al nostro, dove presumibilmente avrebbe potuto orbitare un pianeta adatto ad ospitare la vita, la loro vita.

Una volta entrata nel sistema stellare I.Artye si avvicinò al pianeta individuato, mandò sulla superficie una sonda e dopo attente e precise misurazioni stabilì che il pianeta poteva essere abitabile per gli esseri umani e iniziò così la procedura di scongelamento.  

I.Artye era stata dotata dagli ingegneri informatici di un software per calcolare in anni terrestri il tempo trascorso nello spazio profondo, ben sapendo che qualunque data avrebbero trovato al loro sperato risveglio non poteva davvero essere attendibile per effetto della relatività del tempo nello spazio. Tuttavia sarebbe stato comunque un dato importante seppur considerato con molta approssimazione.

Un piccolo display del grande pannello di controllo, con caratteri rossi mostrava una sequenza numerica che indicava la data 4025. Gli ingegneri erano sicuri che il dato sarebbe stato senza dubbio attendibile e sarebbe stato all’incirca il tempo trascorso all’interno della nave, tuttavia non poteva però essere considerato il tempo effettivo trascorso nel Cosmo dove verosimilmente regnavano altre regole, altri valori.

La nave, nella sua ricerca, avrebbe viaggiato per molti anni luce attraversando sistemi stellari che presumibilmente erano governati da leggi fisiche diverse e sconosciute pertanto un calcolo effettivo del tempo trascorso, sostenevano gli ingegneri, era impossibile stabilirlo. A livello teorico, fuori dalla nave nel Cosmo, avrebbe potuto trascorrere un tempo che poteva andare da 0 a infinito.

Tuttavia secondo il calcolo interno di I.Artye, due millenni prima, la gigantesca H.a.L. (Hope in another Life) partì dalla Terra in fuga dopo la devastazione globale per un conflitto nucleare.

La H.a.L. rappresentava, per il livello tecnologico raggiunto dall’umanità in quelle lontane epoche, l’avanguardia del programma spaziale ed era stato portato a termine attraverso uno sforzo congiunto delle agenzie spaziali delle stesse nazioni che poi si sarebbero affrontate auto eliminandosi in un conflitto nucleare. Il progetto iniziale non aveva avuto lo scopo di creare un mezzo per fuggire dalla stupidità umana, bensì le agenzie spaziali avevano messo a punto un programma finalizzato alla ricerca di esobiologia capace finalmente di varcare i confini del nostro sistema solare.

Tant’è vero che il nome originale era R.a.L. (Research for another Life)

Al momento della partenza presero posto a bordo gli ufficiali ingegneri e scienziati in genere già assegnati al programma spaziale, l’equipaggio di servizio, le loro famiglie (coniugi e figli), un certo numero di civili, reclutati a caso in modo disperatamente rapido tra le conoscenze più prossime del personale di bordo.

La H.a.L. era già stata progettata e costruita per ospitare, durante i suoi viaggi interstellari in modalità ibernazione, un numero massimo di 440 esseri umani.

Subito dopo i primi lanci dei missili nucleari, decaddero all’istante tutte le autorità istituzionali, per prime nei paesi coinvolti direttamente nel conflitto, e una volta che l’umanità comprese la portata della devastazione, saltarono i governi di tutto il mondo. L’agenzia spaziale che progettò la H.a.L. era apolitica e la sua sede era ospitata per motivi tecnici in un piccolo paese dell’America Latina, colonia di una delle super potenze che iniziarono il conflitto nucleare.

In quel paese il progetto era Top Secret tanto che anche i funzionari stessi di quello stato, compreso il presidente in carica, erano all’oscuro dell’oggetto dell’attività dell’agenzia, sia dei reali obbiettivi tanto più dei risultati ottenuti negli ultimi anni. In quelle condizioni fu relativamente facile per gli ufficiali organizzare la partenza per la fuga, nel momento che compresero la drammaticità della situazione mondiale, perché non dovettero farsi autorizzare da nessuno.

Dalle zone limitrofe dell’area di lancio, la popolazione semplicemente assistette al decollo di quella impressionate nave di cui nessuno conosceva l’esistenza tantomeno potevano immaginare la possibilità che un oggetto simile potesse esistere.

Sebbene la H.a.L. fosse al suo primo lancio sperimentale, quegli uomini avevano una possibilità e l’hanno colta immediatamente, ben sapendo comunque i limiti della nave che non poteva salvare che poche persone.

E fu proprio il comandante Stuart Miller a prevedere in anticipo l’escalation degli eventi, anche grazie forse a una “voce” che gli arrivò dalle sale governative. In tempi miracolosamente perfetti e con la dovuta cautela, riuscì a radunare tutti i suoi ufficiali e tutto l’equipaggio.

Ordinò loro di non fare parola con nessuno dell’imminente partenza, solo con mogli, mariti e figli, perché ovviamente, se la notizia fosse trapelata, avrebbe fatto arrivare sul posto migliaia di persone in cerca di una speranza.

Al di là dell’oggettiva impossibilità di salvarli tutti, un’eventuale folla che potesse spingere agli ingressi dell’area di lancio, sarebbe stata comunque una pericolosa presenza che avrebbe sicuramente impedito anche la loro partenza.

Molti membri dell’equipaggio in quei giorni si trovavano nei loro rispettivi paesi ma poco prima che vennero cancellati tutti i voli, Stuart Miller, con l’aiuto del suo vice, la dottoressa Perla Hoover, riuscì a rintracciarli tutti.

In fretta e furia ognuno di loro si preparò per la partenza e raggiunsero tutti la destinazione appena in tempo.

Stuart Miller propose loro di portare due parenti o due amici ciascuno tra le persone che conoscevano e, nonostante tutti fossero al corrente della possibilità per la H.a.L. di ospitare estranei, si resero tutti conto che stavano praticamente popolando niente di meno che un’Arca.

Si può immaginare quanto può essere stato difficile scegliere due persone da portare con sé oltre ai propri famigliari..

 

 

 DUE

 

    Il protocollo prevedeva che, nella circostanza felice dell’individuazione di un pianeta presumibilmente abitabile, tra il comandante e il suo vice, fosse quest’ultimo a risvegliarsi per primo.

Il Primo Comandante sarebbe stato preservato nello stato di ibernazione fino al momento di una effettiva garanzia che il ritrovamento potesse a tutti gli effetti dimostrarsi favorevole.

Nel caso di un errore o comunque nella triste condizione di non poter godere, per qualsiasi motivo, del pianeta raggiunto, il Primo Comandante sarebbe stato preservato per proseguire verso un’altra eventuale chance, perché una seconda ibernazione era possibile solo a livello teorico, dato che tale opportunità non era ancora stata sperimentata a fondo con tutte le relative conseguenze.

In tutti i modi, per motivi di sicurezza, una seconda ibernazione avrebbe richiesto almeno il trascorrere di 360 giorni dal primo risveglio.

Il primo Comandante doveva risvegliarsi solo di fronte a un margine di errore, o di varie impossibilità, prossimo allo 0.

Insieme a Perla Hoover, I.Artye risvegliò anche un certo numero di ufficiali, quelli con le competenze per affrontare le prime fasi del lieto momento. A risvegliare tutti gli altri, eventualmente, sarebbero stati proprio i primi ufficiali, dopo che l’analisi dei dati, nondimeno un sopralluogo sul pianeta, avessero confermato di aver davvero trovato una “Casa”.

Il primo ad aprire gli occhi fu il francese Etienne Boatiè, capo medico biologo. Un uomo altissimo dalle origini scandinave. L’agenzia dovette costruire una cella appositamente per lui con le dimensioni sufficienti per poterlo contenere.

Dapprima i suoi occhi erano solo socchiusi, mostrando un profondo torpore sia fisico sia della sua coscienza. Trascorse qualche secondo nel quale presumibilmente il risveglio lo stava accompagnando a comprendere e a ricordare chi fosse e dove si trovava.

Improvvisamente i suoi occhi si spalancarono in una orribile espressione di terrore. Tentò di muovere gli arti per cercare di liberarsi e di fuggire ma lo scienziato non sapeva nemmeno esattamente da cosa. La sua paura era apparentemente immotivata. Tentò di urlare ma non riusciva nemmeno ad aprire la bocca. Il suo cuore accelerò fino ai limiti possibili rischiando un arresto cardiaco.

I.Artye stava monitorando attentamente tutto quanto. Era addestrata a fronteggiare una simile circostanza: dal lato sinistro dell’involucro, all’altezza del collo, fece fuoriuscire rapidamente un lunghissimo ago che si introdusse nell’arteria principale e inoculò al francese un potente sedativo.

Etienne Boatiè sentì il proprio cuore rallentare la frequenza del battito ma non smise ancora di provare un profondo e terrificante terrore. Alcuni sensori, posti sulle tempie dell’uomo, monitoravano l’attività cerebrale e informarono I.Artye che il medico era pronto per ascoltare la sua sensuale voce femminile.

<< Ben risvegliato Etienne, i dati mi indicano che sai dove ti trovi e che ricordi il tuo nome. >>

Nel frattempo si schiusero gli occhi anche del secondo ufficiale prossimo al risveglio: la dottoressa Hola Hing, cinese, biologa marina con una specializzazione nello studio dell’atmosfera di pianeti abitabili.

I.Artye poteva monitorare contemporaneamente tutti gli ufficiali che erano prossimi al loro risveglio. Sembrava che anche il secondo mostrasse la stessa anomalia emozionale del primo.

Il protocollo aveva previsto, nelle fasi del risveglio, la possibilità di ricorrere a dei calmanti. Fortunatamente, altrimenti sarebbero morti di paura, tuttavia I.Artye non aveva nessuna informazione utile per dare un significato compiuto, appropriato e contestualizzato al momento, circa quella inaspettata paura.

<< Etienne, come da protocollo sono lieta di informarti che le mie ricerche hanno prodotto un risultato. Stiamo orbitando intorno a un pianeta con altissime probabilità che possa ospitare le vostre preziose vite. Non hai nessun motivo di aver paura, i dati mi confermano che sai dove ti trovi, conosci la nostra storia, da dove proveniamo e il motivo di questo viaggio. Vedo che sei già parzialmente pronto per dare il tuo contributo scientifico. Tuttavia rilevo un’anomalia emozio- nale di cui non riconosco la fonte. >>

I.Artye poteva decifrare tutte le possibili sinapsi collegate alle emozioni conosciute e le relative fonti ma di quella che stava provando il francese e da qualche istante anche la cinese, non ne riconosceva l’origine. Di fronte a quell’inaspettato stato emozionale, I.Artye era in grado soltanto di dare una lettura efficiente dell’effetto senza poterne in alcun modo identificarne la causa.

Anche Hola Hing ebbe un urgente bisogno del calmante. Lentamente si svegliarono anche gli altri quattro membri dell’equipaggio, mentre le scariche di energia plasmettrica, attraverso il liquido in cui erano ancora immersi, ripristinavano la tonicità dei muscoli e favorivano il corretto flusso sanguigno.

Il primo che riuscì a muovere i muscoli della bocca fu il geologo italiano, Ascanio Galli. Aveva appena ricevuto la sua dose del calmante ma il farmaco che rallentava il battito cardiaco, non impediva comunque a quegli uomini di provare l’emozione che alterava le loro pulsazioni.

Non appena fu fisicamente in grado, lanciò un urlo terribile. I.Artye non sapeva che fare, non era preparata a questo, tutto ciò che poteva fare lo aveva già fatto. Registrando comunque dei movimenti anomali dei loro corpi ancora dentro agli involucri, li bloccò nuovamente ai polsi e alle caviglie con gli appositi fermi. A uno a uno si svegliarono completamente e tutti quanti ebbero la stessa identica reazione di panico manifestato con un terrificante grido.

I.Artye ripeteva la solita frase di ben risvegliato con la relativa spiegazione della fortuita scoperta e parlava a ruota come un disco incantato perché non aveva nessun tipo di istruzione per fronteggiare quella straordinaria situazione. Nei suoi file ricercava velocissima tutti i tipi di frasi che sarebbero potute andare bene in situazioni simili.

I.Artye era stata programmata per farsi domande in casi straordinari in cui non sapeva come agire e l’unico modo che aveva per trovare le risposte era di mettere in relazione tra loro concetti simili e creare dei sillogismi. Con le statistiche e i calcoli di probabilità riusciva ad avvicinarsi alla soluzione di un problema con una precisione e una velocità sorprendenti anche per i suoi stessi creatori.

“Risveglio – paura - involucro – liquido – amniotico – placenta – utero – nascita – pianto - madre.”

In una frazione di secondo non trovò niente di più vicino a questo percorso logico e subito iniziò la sua risposta: fece fuoriuscire dagli altoparlanti una musichetta dolce e tranquilla come una ninna nanna a 432 Hz e dalla sua voce uscirono parole rassicuranti con tono amorevole.

<< Bambini miei, sono la vostra mamma, sono raggiante di felicità per avervi dato alla luce, la vostra nascita riempie di gioia il mio cuore. Vi amo in modo che non potete ancora immaginare. Siete al sicuro, non dovete temere nulla, io sono qui con voi. >>

Attraverso i sensori si accorse dell’effetto che aveva su di loro quest’ultima frase e iniziò a ripeterla in loop.

<< Io sono qui con voi… Io sono qui con voi… Io sono qui con voi…>>

I.Artye non poteva davvero comprendere quale fosse stato il problema ma si accorse che la sua risposta funzionò. L’attività cerebrale di tutti loro rientrò lentamente nella norma.

Si limitò ad aggiungere la soluzione trovata al protocollo di “Risveglio dopo ibernazione”.

 

 

 TRE

 

    Quando finalmente uscirono dagli involucri, sconvolti e fortemente turbati, subentrarono le prime fasi di ripristino delle normali attività mentali e corporee. Si lavarono e si vestirono con le rispettive uniformi e si nutrirono del contenuto di certe fiale endovenose, perché l’ingestione del cibo non sarebbe stato possibile ancora per qualche giorno.

I.Artye era sempre presente e controllava che tutto procedesse secondo le disposizioni. Li aiutava a ricordare tutti i passaggi laddove ce ne fosse bisogno. Ognuno a suo modo manifestava un certo ritardo sia nel ricordare che nelle azioni, che eseguivano un po’ meccanicamente, come quasi non appartenessero più a quella realtà o forse ai loro stessi corpi. Del resto, anche se essi percepivano un tempo diverso, forse solo come una notte molto lunga, erano trascorsi invece due millenni da quando erano stati ibernati.

Questo tempo deve per forza aver avuto un peso in qualche modo, alterando probabilmente molto del loro stesso antico essere.  Se l’Anima esiste ed evolve all’unisono con l’Universo attraverso le esperienze dentro ai nostri corpi, forse le loro anime, intrappolate in quei corpi, furono obbligate a sospendere la loro partecipazione al flusso che le guida tutte a riunirsi con l’Uno. Non si può sapere se la loro palese sofferenza, o anche un semplice forte disagio, fosse dovuto a questo.

Si muovevano tutti in silenzio e quasi evitavano volutamente di guardarsi negli occhi.

I.Artye colse l’opportunità di parlare in privato con il vice comandante quando ella si trovò sola sotto la doccia.

Le ricordò i suoi doveri relativi alla missione iniziata moltissimo tempo fa. L’aiutò a rientrare velocemente nel suo ruolo, a prendere il comando di quella delicatissima missione. Le fece delle domande per confermare il suo stato di salute mentale e per confermare definitivamente e inequivo- cabilmente che ella sapeva perfettamente chi era e cosa doveva fare. Perla Hoover sotto la doccia piangeva, annuiva a I.Artye e al contempo piangeva. Rispondeva alle sue domande tra i singhiozzi tanto che capitò che dovette ripetere alcune parole perché la sua interlocutrice non ne comprese alcune, distorte dal pianto.

I.Artye dal canto suo si limitò a registrare le risposte e farle combaciare con il programma di reintegro per autorizzare e riconfermare la gerarchia dei gradi. Non poteva comprendere il motivo di quelle lacrime, infatti le scambiò per l’acqua della doccia.

I corpi degli ufficiali ovviamente non erano più in connessione con i sensori che avevano all’interno degli involucri, quindi I.Artye non poteva più monitorare l’attività cerebrale, tuttavia era dotata di uno speciale scanner che attraverso la spettrometria e gli infrarossi poteva monitorare ugualmente, anche se solo in parte, lo stato generale di salute ed emozionale. Tutti e sei mostravano il medesimo affaticamento e condividevano pressappoco lo stato generale. Per I.Artye questo era sufficiente per catalogarlo come “Reazione Normale” tanto più che era previsto che avessero scompensi dopo il risveglio. Certamente non poteva capire cosa fosse che stava producendo tali scompensi.

Il vice comandante, rientrata nel pieno delle sue facoltà, diede un tempo per riordinarsi e invitò tutti gli ufficiali a presentarsi in sala riunioni. Nel momento in cui tutti e sei si trovarono uno di fronte all’altro, si guadarono e si osservarono a lungo senza fiatare. Era come se si vedessero per la prima volta conoscendo però, quasi come per sentito dire, tutto delle persone che avevano davanti, i loro nomi, la loro storia, i loro pregi, i loro difetti. Era sconvolgente per loro provare affetto, stima, simpatia o antipatia per i compagni ma come fosse solo un ricordo. Un sentimento umano scorporato però dalla passione che lo genera.

In altre parole tutto ciò che provavano era alla stregua di un concetto, lontano dal suo effetto che ha normalmente sul nostro essere e ben lungi dall’essere connesso con i gusti e i valori che lo generano. Sentivano che il loro vero essere era rimasto indietro di millenni e di quello nuovo non ne conoscevano l’entità.

<< Ben risvegliati a tutti voi. >>  Parlò per prima Perla Hoover, il loro comandante.

<< I.Artye ha già fatto il rapporto sulle nostre condizioni psicofisiche e ha dato l’ok per procedere. >> Poi si rivolse al medico francese << Etienne, hai qualcosa da aggiungere? >>

<< No comandante… almeno…>> e fece una pausa guardando Kurt Milton, lo psicologo << Almeno non per i dati medici fornitici da I.Artye, tuttavia…>> e continuò a fissare lo psicologo come a esortarlo a intervenire. Ci fu silenzio. Kurt Milton prese un lungo respiro, come quando si ha un groppo in gola ma non si ha il coraggio o la forza di sputarlo fuori.

Tutti sapevano che c’era qualcosa che non andava, tutti sapevano cha anche tutti gli altri lo sapevano ma in quel momento nessuno di loro aveva gli strumenti per affrontarlo dentro loro stessi tanto meno potevano in qualche modo parlarne apertamente anche perché non sapevano che cos’era che non andava dentro i loro esseri. Probabilmente erano ancora sotto l’effetto del sedativo che in tutti i modi ha salvato loro la vita. Per tutti loro era più facile comportarsi come automi, pronti e preparati a seguire il protocollo.

Perla Hoover, nella sua veste di comandante, si sentì obbligata a dire qualcosa per uscire da quello stato di tensione ma la anticipò l’italiano

<< Se avete visto quello che ho visto io … ci sono cose ben più importanti da affrontare prima di trovare una nuova casa. >>

Tacquero tutti guardandolo negli occhi come a confermare ciò che aveva appena detto ma ancora senza nessuna possibilità di affrontare l’argomento. In tutti i modi Ascanio Galli aveva rotto il ghiaccio.

I.Artye stava ascoltando e come da istruzioni stava monitorando e vagliando ogni cosa. Sapeva benissimo che una volta reinserito il comandante, lei si doveva auto ridimensionare al ruolo di semplice servizio, senza prendere iniziative. Ma appunto il suo ruolo era anche di segnalare anomalie o evidenziare imprecisioni, difetti o distorsioni in genere quindi le parole di Ascanio Galli andarono in conflitto con il progetto intero della spedizione.

Non esisteva nulla di più importante che trovare una “casa”, non per I.Artye e nemmeno per ognuno di loro ai tempi in cui partirono dalla Terra. Ma qualcosa era cambiato in quei due millenni e I.Artye non poteva davvero comprenderlo e decodificarlo.

<< Affronteremo questa cosa, statene certi >> intervenne il comandante mostrando finalmente la appropriata intra- prendenza di cui era dotata << È evidente che non siamo ancora pronti. Propongo …  anche se dovrei dire “vi ordino” …  di proseguire e avanzare con gli step successivi della missione. Al momento non vedo cosa potremmo fare oltre a questo. Abbiamo anche degli obblighi e dei doveri nei confronti di tutti gli altri. Abbiamo una responsabilità enorme ma lo sapevamo, non è vero? >>

Annuirono tutti, Perla Hoover continuò << È cambiato qualcosa in questi due millenni, qualcosa che non potevamo prevedere, qualcosa che I.Artye non conosce perché noi non la conoscevamo prima di adesso e non l’abbiamo programmata al riguardo. Qualcosa ci ha cambiato ma è evidente che non siamo ancora in grado di comprenderla.

Procediamo con la missione tentando di integrare dentro di noi questa cosa, sono sicurissima che presto o tardi si farà capire e usciremo da questa nebbia. Siamo sani e in perfetta forma non possiamo che procedere! >>

Si trovarono tutti d’accordo. Quel momento fu significativo: anche se di un millimetro soltanto, erano usciti da quell’oscuro torpore in cui versavano tutti. Ognuno di loro si sentiva come fosse alla guida di un enorme camion ma del quale, dal posto di guida, non riuscivano a raggiungere i pedali con i piedi. Ma in qualche modo ne avevano parlato, avevano trovato un punto comune e per quanto in quel momento potesse sembrar loro insignificante o quasi, fu il vero inizio di tutto quanto.



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