LA VITA CHIAMA A GRAN VOCE - Racconti Erotici - Incipt Tre racconti

 

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Maestro Silenzio Edizioni

Sede: in ogni Cuore che lo accoglie

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Maestro Silenzio Edizioni nasce con il proposito di divulgare libri e contenuti in genere, di alto valore etico e spirituale.  

L'idea che abbiamo di noi stessi non ricalca esattamente strutture già esistenti, non siamo affatto una casa editrice, noi amiamo definirci più una CANTINA EDITORIALE .

Le cantine sono uno dei luoghi o dimensioni dove gli artisti e gli artigiani progettano e creano le loro opere, sono luoghi magici che tra disordine e ragnatele riescono a ispirare l'arte.

Luoghi dai quali molto spesso, crediamo, non sono mai uscite, non hanno mai trovato la luce,  o in tutti i modi non hanno mai raggiunto il grande pubblico la maggior parte delle opere create dall'Uomo.  

Ecco che per noi diventa un luogo sacro, un luogo verso il quale sentiamo di volgere, almeno noi, la nostra attenzione, sicuri che lontano dai riflettori potremmo trovare là sotto qualcosa di davvero bello, di emozionante, una favola, una vecchia storia, un'invenzione o un'immagine che sotto la polvere riesce nonostante tutto a dare sempre Luce.

Noi siamo questo: siamo la cantina, siamo l'autore e siamo l'opera scoperta e trovata per 'caso' o comunque apprezzata da coloro che imbattendovisi riescono a scorgere bellezza anche al buio, anche sotto la polvere, anche se non c'è nessuno che si impegna in qualche modo a portarla nel mondo.


 

LA VITA CHIAMA

A GRAN VOCE


Racconti Erotici – scritti tra il 2007 e il 2010


PREFAZIONE 

Eros e desiderio per esprimere se stessi 

L’Eros, quando viene compreso nella sua vera natura trascendente, porta l’anima a scorgere nella bellezza fisica soltanto il riflesso della superiore bellezza spirituale; l’Eros dunque, non diversamente dalla Ragione, (logos) sospinge l’uomo verso il Bene. 
Diventa quindi necessario, attraverso un linguaggio artistico come la scrittura, riuscire a comunicare in maniera efficace, senza volgarità ed eccessi di forma e di sostanza, l’Eros in quanto massima espressione di vita, in contrapposizione a Thanatos (pulsione di morte). Davide è riuscito, attraverso un percorso individuale e artistico, a emancipare il suo pensiero rendendolo forma “poetica”, al di là del pregiudizio e della paura di osare, poiché per invertire la rotta delle nostre paure e sciogliere i nodi del malessere è fondamentale intuire, agire e creare, compiendo cioè un atto paradossale che permette di scuotersi da un’immobilità talvolta patologica di cui siamo prigionieri. 
La funzione dell’Eros, secondo Jung, è quella di mettere in rapporto l’esperienza dell’anima che provoca la Relazione e qualifica, aggiungo io, l’esistenza umana. 
Nell’antica Grecia si credeva che gli dei avessero una vita sessuale ricca, disinibita e sfrenata; la convinzione era che ogni pulsione, fantasia, voglia sessuale dipendesse dal dio Eros per cui sarebbe stato inutile opporre resistenza agli istinti erotici. 
Nella società contemporanea invece possediamo moltissime informazioni sul sesso che però hanno prodotto una standardizzazione consumistica e industriale, facendo perdere aspetti fondamentali come la spontaneità dell’abbandono ai sensi e alle fantasie, della fiducia, dell’emozione e della capacità di coinvolgere tutto il proprio essere nell’ascolto di sé e dell’altro. 
Il vissuto dell’Eros è necessario per esprimere se stessi e anche per permettere un’espressione di sé autentica, reale e soddisfacente. 
Per questo è necessario uscire dagli stereotipi culturali, mettendo da parte il processo razionale a favore del processo emozionale, entrando, così, in contatto con la totalità del proprio io e con la parte più intima di sé. Ascoltarsi significa, per me, imparare a distaccarsi e liberarsi poco a poco dai luoghi comuni inerenti le tecniche migliori per fare l’amore, così come accettare di diventare un essere unico. 
La sessualità infatti è il luogo dei proprio desideri, delle fantasie e delle paure, dove si è unici e non si somiglia a nessun altro. 
L’atto erotico contiene ed esprime elementi importanti come il caos, l’ordine, la procreazione, la vita, la lotta, l’amore e la morte. Liberare le emozioni catarticamente, uscendo dalla logica della prestazione, permette di vivere sensazioni veramente piene: senza le emozioni, quindi, i vissuti, le fantasie il piacere sarebbe soltanto fisico. 
Raggiungere il piacere è per me una conquista personale, un viaggio che evolve ad ogni nuovo incontro “amoroso”; per divenire una vera pienezza sessuale l’appagamento esige un clima di confidenza, rispetto e immaginazione.

Ho conosciuto Davide in uno dei vari corsi formativi in cui ho lavorato e proposto, e ho potuto osservare e stupirmi con grande meraviglia del suo cambiamento e del suo coraggio (inteso come azione del cuore) nel corso degli anni, nel seguire la sua passione, riuscendo quindi attraverso scelte profonde e delicate a cambiare il suo ruolo e il suo “essere” nel mondo, credendo nei suoi sogni senza la paura di cadere… 

Questa possibilità che si è dato di esprimere, quindi di spingere fuori, i vari linguaggi della sua anima, ancora comunque in ricerca, ha fatto sì che oggi quando incontro il suo sguardo, i suoi occhi sono illuminati da una sana luccicanza che evoca lo stupore e la gioia di vivere tipica di un fanciullo che inizia a esplorare un nuovo mondo con nuovi viaggi (così come Eros è figlio dell’avventura e del bisogno).

Continua così Davide… spero che la fiducia e la stima che ho nei tuoi confronti possa trasmetterti la voglia di continuare a seguire la tua onda emotiva e creativa in costante ricerca: questa è vita!!!

 

                                                                                                    Pierfilippo Macchiavelli



INDICE


 

Racconto

                                                

Pag.

 

 1

Oltre il muro      

13

 2

La Padrona di casa

21

 3

Animalia

35

 4

Commesse                  

43

 5

Il Dono dorato

51

 6

Fantasma

57

 7

Il Cambiamento

63

 8

Rosa Pallido

79

 9

Tra le Montagne

91

10

In Vacanza

99

11

L’Idea

111

12

La Sposa

115

13

L’Idraulico

121

14

Mondi inaspettati

129

15

Indelebile

167

16

Qualcosa in Sospeso

181




 

 

 




































OLTRE IL MURO

Quando mi trasferii nella mia nuova casa ero molto soddisfatta di me stessa. Ero riuscita a raggiungere la mia indipendenza faticando e sacrificando molto di quegli anni della mia gioventù.Avevo lavorato sodo e avevo ottenuto riconoscimenti anche da parte dei miei colleghi uomini. Ma non è stato facile. I primi tempi non riuscivo ad accettare che i miei compagni di lavoro mi considerassero solo una vagina con una donna intorno. In effetti ora riconosco che inizialmente ero inesperta e novellina e ho impiegato molto tempo prima di riuscire ad essere molto più produttiva. Certo è che da loro non ho ricevuto nessun aiuto. Lottavo come una formichina contro un Titano per far capire a tutti che invece ero un cervello con una femmina intorno. I miei sforzi erano vani e più mi impegnavo a mettere in luce le mie qualità e più sbagliavo, più sbagliavo e più loro si accanivano alternando insulti a scherni. Nondimeno cercavo di districarmi tra avance e imbarazzanti tentativi di portarmi a letto. Sono riuscita a progredire convivendo con dei cazzi con dei muscoli intorno, questo è quello che ho sempre pensato di loro. Qualcuno , tra i miei colleghi,  era molto abile e professionale, ma lavorare con una donna sembrava impossibile anche al più geniale.
Lentamente cominciai a intuire che potevo mutare radicalmente la situazione, dovevo solo trovare la chiave giusta. Iniziai  a cercare un equilibrio tra la mia professionalità e la mia dignità di donna, con il passare del tempo sono riuscita non solo ad ottenere considerazioni ma anche a fare carriera. 
La mia casa rappresentava, per me, il risultato tangibile di tutti i miei sforzi, fu il premio arrivato dopo tanta fatica e il primo giorno attaccai fuori, sulla porta, un fiocco da regalo e un bigliettino con su scritto:” Congratulazioni Sara, questa casa è la ricompensa che ti meriti.” 
Per molto tempo, da quel momento, la mia esistenza trascorse tra l’ufficio e i miei quattro muri nei quali mi tolsi letteralmente la voglia di coccolarmi. Forse anche l’inverno mi aiutò a passare gran parte delle mie serate tra plaid e tisane. Da un angolino del divano osservavo il mio appartamento e aiutata dalle riviste di arredamento più in voga, studiavo i particolari che avrebbero dato alla mia tana l’ultimo tocco della mia femminilità. La vita sociale sembrava non interessarmi più, uscivo raramente e le mie amiche ogni tanto facevano irruzione con vino e pasticcini per stare un po’ insieme. 
Ogni volta mi accusavano di trascurarle dicendo che se non fossero state loro a venire da me, non mi avrebbero più vista. 
Care. Nessuna di loro aveva ancora raggiunto un tale traguardo, e non potevano dunque capire cosa significasse essere padrone di uno spazio tutto proprio. 
In effetti quella fu una dimensione dalla quale fui sorpresa io stessa: quando stavo ancora con i miei pensavo che una volta avessi avuto la mia casa avrei organizzato molte feste e comunque ogni sera avrei invitato gli amici e avrei fatto baldoria fino al mattino. 
Avrei avuto anche la possibilità di portarmi a casa tutti gli uomini che volevo evitando le scomode e freddolose performance da auto. 
Ma non accadde niente di tutto questo, improvvisamente tutto si trasformò in un tranquilla e serena solitudine nella quale non sentivo la mancanza di niente neanche di un uomo. 
Fino ad un certo punto però… 
Una notte qualcosa mi strappò da un sonno profondo. La parete ovest della mia stanza confinava con la camera da letto dell’appartamento di fianco. Nei giorni precedenti notai nel pianerottolo e nell’atrio del portone un certo movimento di scatole e scatoloni e distrattamente mi accorsi che avrei avuto dei nuovi vicini. Quella notte fu la prima volta che mi accorsi realmente di loro: stavano facendo l’amore e la voce di una ragazza che ansimava, oltrepassando il muro, riuscì a svegliarmi. Li per li provai un po’ di fastidio, avrei voluto continuare a dormire indisturbata come avevo fatto nelle notti fino ad allora e nel torpidio di un risveglio improvviso, imprecai contro quella crudele sorte che assegnò proprio l’appartamento di fianco ad una coppia di giovani amanti. La ragazza continuò il suo delicato sospiro e solo il silenzio della notte poteva accompagnarlo al mio udito.  Che sia stato piuttosto qualcosa nella mia mente, a me fino ad allora sconosciuto, a farmi captare quell’alito amoroso? Come se i miei sonni non fossero stati sereni come credevo o come avrei voluto, e quell’ansimare si insinuava laddove i miei sensi erano prematuramente assopiti. 
Potevo sospettare allora di essere più turbata che infastidita? 
Il giorno dopo, al lavoro, il tempo trascorse lentamente, come se Crono trattenesse con forza una catena fatta con le ore della mia giornata e avevo la sensazione che gli Dei mi stessero a guardare. 
Un Sole pallido di tanto in tanto usciva tra le lacrimanti nuvole. 
Le tapparelle semi chiuse rendevano assonnato e triste il mio sguardo verso il mondo. Improvvisamente tutto non era così perfetto come sembrava solo fino al giorno prima. Ma perché? 
L’intelligenza umana ci fece un unico grande regalo: il potere della domanda; ma in quel momento non riuscivo a trovare una risposta. 
Non potevo ancora sapere che il motivo di tanta tristezza era proprio in quella risposta. 
La notte successiva Venere lasciò nuovamente cadere una gocciolina d’amore sui miei vicini e loro non sembravano affatto intenzionati a sottrarsi al volere divino. Una passione invidiabile se ne impadronì rendendo quell’unione quasi un tormento per la mia anima.
Omioddio senti come gode quella ragazza, Da quant’è che non fai l’amore Sara? Mi chiesi, e soprattutto l’hai mai fatto così? Beata lei. Beati loro. Improvvisamente sospettai che nella mia vita c’era qualcosa che non andava o più semplicemente qualcosa che mancava. Le notti passavano e immancabilmente mi scoprivo essere spettatrice occulta e triste di quella meraviglia. Quel sesso, nell’oscurità della mia stanza, sembrava colare da fessure immaginarie che solo la mia irrequieta insonnia riusciva a farmi vedere su quel muro.

...... CONTINUA ...



LA PADRONA DI CASA 

L’annuncio lo descriveva come un posto qualsiasi. ‘Due vani, arredato, terrazza ampia e soleggiata, cantina. Termo autonomo’ Composi il numero di telefono. Squillò a lungo, infine qualcuno rispose. “Pronto.” Urlò una voce  vivace e trafelata. “Buon giorno, io, ehm, chiamo per l’annuncio...”  “SCENDI GIU DA LI’.” Mi urlò nell’orecchio, poi sentii un tonfo. La cornetta cadde urtano qualcosa, chissà perché avevo la sensazione di essere a penzoloni e di dondolare a testa in giù come immaginavo che fosse per l’apparecchio dall’altra parte. Ascoltai attentamente. 
“TI HO DETTO CHE NON DEVI SALIRE SULLA FINESTRA, NON TI VOGLIO VEDERE QUA’ IN TORNO, STAMM I  ALLA L A R G A A A.” 
Udii una serie di colpi e un fracasso infernale come di oggetti di metallo o di tegami che rotolavano. Mi impressionai un poco. 
“Mi scusi, ma quel maledetto gattaccio mi si infila sempre in casa. 
IO NON LI SOPPORTO I GATTI. Lei chiama per l’annuncio? Vuol venire a vivere qui? Lei ha degli animali? No perché sa, io non li sopporto gli animali!” 
Attesi di trovare un varco in quella pioggia verbale e poi timidamente azzardai una risposta. 
“No, no no, io non ho nessun animale...” venni interrotto bruscamente. 
 “Bravo! Gli animali devono starsene pei fatti loro, e noi esseri umani dobbiamo starcene pei nostri. L’anno scorso ho affittato la casa ad una signorina e poco dopo mi ha portato in casa uno schifosissimo topo. 
Di notte lo sentivo correre dentro quella stupida ruota e non riuscivo a dormire. E neanche all’idea che in casa mia ci vive un topo riuscivo a dormire. L’ho dovuta cacciare, lei e a quell’orribile bestiaccia. Ma come si fa a vivere con una bestiaccia simile? OHIBO’.” 
“Ma signora, doveva trattarsi di un criceto.” 
“ERA UN TOPO!! O un criceto, che differenza fa? Non fa nessuna differenza. Lei ha detto che non ha animali? E allora venga qui che le faccio veder la casa!” 
Buttò giù il telefono. Ricomposi il numero. 
“Signora, mi scusi, sono sempre io, non mi ha detto l’indirizzo...” 
Si fece una grassa e acuta risata 
“Mi scusi, non ci faccia caso, sarà l’età. Ha da scrivere?” Urlò 
“Via...” Presi nota. 
La mia auto quasi non riuscì a salire quella ripidissima salita. Sopra la collina, un gruppo di case parevano fare a gara a chi resisteva di più a stare in piedi. Tutte quante stavano intorno ad un'aia o ad una corte, lastricata con enormi pietre grigie. Tra le fughe spuntavano piante e erbe varie, svettavano al sole fiere di vivere in mezzo a quelle antiche case. Lasciai l'auto vicino a un trattore. Più in là sostavano altre auto. Oggi quello spazio serviva da posteggio. 
Mi guardai intorno, e quel luogo mi raccontò qualcosa del suo passato come farebbe un nonno. Da lassù vedevo la città e poco più in là il mare. Intorno, le colline, sembravano i braccioli di una vecchia poltrona dalla quale per centinaia di anni il piccolo borgo stava seduto a godersi lo spettacolo. E deve essere stata proprio quella bellezza a dargli la forza di arrivare fino ad oggi. Perché la bellezza fa venir voglia di vivere e il tempo se ne sta in disparte, non disturba troppo se si è impegnati a guardare il mondo. Anzi, si siede li vicino e si ferma anche lui a guardare, così tutto quanto intorno rimane intatto, per sempre. 
Avevo un appuntamento, dovevo andare. Ero un poco in ansia di incontrare quella signora. Passai sotto una volta e mi ritrovai in un'altra corte, più piccola, sulla quale si affacciavano alcune porte. 
Qualcuna sembrava l'ingresso di una cantina, le altre erano gli ingressi delle case. Ero impegnato a leggere i nomi sui campanelli quando dietro di me si spalancò una porta. 
“Buon giorno, lei deve essere il signor...Il signor?” 
“Buon giorno, mi chiamo Walter, lei è la signora Alice?” 
“Si sono io.” Mi squadrò tutto quanto senza tentare minimamente di non farsene accorgere, mi mise in imbarazzo. Poi come se fossi io la causa di quella pausa disse. 
“Avanti, coraggio, cosa fa li impalato, venga, le faccio vedere la casa.” 
Mi mossi impacciato e andai verso di lei, che sparì in casa e ne riuscì subito con in mano una chiave appesa ad un enorme portachiavi di peluche. 
“Venga, da questa parte.” Prese su per una scala di pietra che saliva di fianco alla porta di casa sua. Io le andai dietro. La signora Alice non era come me l'aspettavo, Avrà avuto una cinquantina d'anni, portava un modernissimo paio di jeans attillatissimi e una magliettina corta in vita, aveva i capelli rossi raccolti in un ciuffo tenuto da un mollettone maculato. Ai piedi aveva un paio di infradito dalla spropositata zeppa di gomma color azzurro. Era una figura alquanto singolare e mi sculettava davanti in un'andatura sensuale e vagamente schizzata. 
La scala finiva in una terrazza molto ampia dove c'era una porta sola. L'aprì  e la spalancò rimanendo sulla soglia invitandomi a precederla in casa. L'appartamento era in ordine, pulito e profumato, era arredato in stile semplice, da campagna. Era molto accogliente e mi sentii subito a mio agio. La signora Alice mi passò vicino e andò verso l'altra stanza. 
“Qui c'è la camera da letto, non è molto grande ma per lei andrà benissimo.” 

......CONTINUA...



COMMESSE  

La strada lentamente si stava ripopolando, era quasi l’ora della riapertura pomeridiana dei negozi e le commesse si incontravano nei caffè poco prima di iniziare il lavoro. 
Io stavo seduto ad un tavolino esterno in uno dei tanti locali di questa magnifica via del centro che ospitava molte fra le più belle boutique della città e mi godevo il via vai di queste bellissime ragazze. 
È ovvio che uno spettacolo simile si verifichi tutti i giorni, anche due volte al giorno forse, però al mattino deve essere meno sensuale del pomeriggio, perché è più frenetico, le ragazze sono assonnate e in ritardo; a quest’ora invece sono splendide, calme e sorridenti, sono sveglie e la loro femminilità viene sparsa per la via come un profumo e sembra quasi che voglia sedurre ogni cosa. 
Non c’è dubbio, in questo frangente sono consapevoli protagoniste. 
Ero quasi all’ultimo sorso del mio digestivo, il quotidiano era mal riposto sul tavolino; del resto la mia attenzione era rivolta altrove, dove i miei sensi coglievano la vita: l‘inconfondibile suono dei tacchi sul marciapiede, la scia di profumo che le segue, la visione di queste creature che vanno e tu vorresti toccarle ma la loro stessa bellezza te le allontana come se fossero divinità irraggiungibili. 
Due morette si sedettero al tavolino alla mia sinistra. La più alta aveva un caschetto anni Trenta, il nasino all’insù, e i suoi seni, dentro la camicetta, erano grandi e belli. Sembravano veri perché avevano quella naturale tendenza al basso che ricorda le belle mammelle di una volta, così pesanti, cosi sexy e rilassanti. 
L’amica aveva tratti ispanici, carnagione scura e capelli che ricadevano sulle spalle lucidissimi, lisci sulla nuca e molto mossi sulle punte. 
È la pettinatura che più mi piace e mi sono sempre chiesto se è naturale o se richiede del lavoro. Era meno appariscente dell’amica, ma molto carina nelle sue forme precise e delicate e sembrava avere qualche anno in più dell’altra. 
Ordinarono due caffè, io approfittai della cameriera per ordinare un altro digestivo; riaprii il giornale ma in breve mi accorsi che le ragazze avevano cose molto interessanti da dirsi. Tra un titolo di cronaca e la pagina sportiva, iniziai a captare il contenuto della loro conversazione e a poco a poco mi ritrovai letteralmente ad origliare. 
“Ti stavo dicendo” disse la tipa con il caschetto “che ero con Oreste a cena da sua madre e appena seduti a tavola mi arriva un messaggio, apro il telefono tranquilla, pensavo fosse mia sorella che voleva sapere come erano andate le analisi, e invece, cazzo! Era Rufo. Non lo sentivo da tre o quattro settimane.” 
Aprì il telefono e con il pollice esperto cercò la cartella dei messaggi e iniziò a leggerlo all’amica. 
“Senti cosa mi scrive: Ciao notevolissima femmina, ti ho visto passare oggi, in auto, ma lo sai che ci stai da dieci su quella Smart. Sei sempre al top. Più tardi vado al Golden perché non ti fai un giro e ci beviamo una cosa?” 
Le ragazze si scambiarono un’occhiata densa di contenuti, come fossero state collegate ad una rete wireless, e credo che riuscirono a trasmettersi molte informazioni. 
Poi Caschettino continuò: “Meno male che come al solito Oreste non si accorge di un cazzo. Gli dico che è mia sorella che vuol saper delle analisi e così rispondo a Rufo, lì a tavola, seduta con mia suocera, ma ti rendi conto?” 
“E cosa gli hai scritto?” le chiese l’altra, quella dalla carnagione più scura. 
“Gli ho risposto che mi ha fatto piacere il suo invito ma che ero un po’ incasinata e che se fossi riuscita a liberarmi lo avrei raggiunto.” 
“COSAA?” tuonò  Spagnolina “Hai passato il pomeriggio con Oreste a fare la lista di nozze e quando sei a cena con sua madre non solo rispondi a quell’altro, ma gli dici pure che se ce la fai lo raggiungi?! Ma ti stai per sposare o cosa?” 
“Appunto, mi sto per sposare, tecnicamente sono ancora nubile…” 
E si riguardarono negli occhi con la stessa intensità di poco prima ma questa volta Spagnolina non nascose un certo disappunto misto a un pizzico di ironica malizia. 
Dalla posizione in cui stavamo seduti ai nostri tavolini, ci potevamo vedere in volto tutti e tre anche se un po’ di profilo; per quanto mi riguarda, nonostante mi sforzassi di rendermi invisibile e soprattutto cercassi di ascoltare senza guardarle, cominciavo ad essere deci- samente coinvolto, come uno spettatore a teatro. 
Le ragazze, invece, non davano minimamente la sensazione di preoccuparsi della mia presenza, e non facevano niente per proteggere la loro privacy. La cosa iniziò ad incuriosirmi ma lì per lì non ci feci caso. 
“La cena era una noia mortale” continuò Caschettino “mia suocera continuava a rompere su come avremmo dovuto organizzare tutto, sugli invitati e un sacco di altre stronzate, cominciavo proprio a non sopportarla più. Meno male che il mio Orestino, che un po’ la sta a sentire ma poi si rompe anche lui, gli è saltato in mente di portarmi a casa sua. Io non ne avevo molta voglia, forse perché iniziavo a pregustare di vedere Rufo, ma almeno siamo venuti via di lì…” 
L’attenzione di Spagnolina aumentò, io ormai usavo il giornale per nascondermi, ero sicuro che avrei ascoltato un racconto un tantino piccante. 
A questo punto l’amica le chiede: “Quindi sei andata da Oreste, e Rufo? Lui allora quando l’hai visto?” 
“Aspetta! Oreste non l’ha mai fatta una cosa così: mi trovo bene con lui... a letto, voglio dire… ma lo sai com’è, è tutto precisino, quando lo facciamo vuole che tutto sia perfetto, le lenzuola, la luce, la musica, i preservativi, lo champagne in frigo… tre volte alla settimana perché gli altri giorni ha il calcetto. Sono sicura che le nostre scopate le mette in agenda insieme ai suoi appuntamenti di lavoro...” 
“Aspetta aspetta, stiamo parlando di Oreste vero? Il tuo futuro marito, non è così?” 
Caschettino non colse bene il sarcasmo dell’amica che in quella domanda, volendo, avrebbe potuto introdurre un argomento da analisi su di un lettino. Io stesso, che mi sforzo sempre di non giudicare mai e quando lo faccio mi mordo la lingua, notai molto bene quel sarcasmo e anche se non potevo condividerlo con Spagnolina sono sicuro che anche lei pensava della sua amica che era seduta su di un sacchetto pieno di merda e di esplosivo. 
Dopotutto non erano affari miei, certo, ma la parte interessante doveva ancora arrivare. 
“Sì lo so, sono una stronza, non dovrei parlare così, ma se non lo faccio con te con chi posso farlo? Stai a sentire, insomma quella sera gli è preso qualcosa che non avrei mai detto, sono sicura che del messaggio non ha sospettato niente, anche perché al limite si incazzava. 
Credo invece che abbia sentito, non so con quali sensi, l’odore della mia eccitazione. 
L’idea di rivedere Rufo mi aveva messo addosso un fuoco e mi sa che lui l’ha sentito, hai capito? Ha sentito qualcosa ne sono sicura. Infatti ha iniziato a toccarmi le cosce sotto al tavolo lì con sua madre che non la smetteva di parlare, non l’aveva mai fatto, sono rimasta sconvolta.” 
“E così siete venuti via e siete andati a casa sua, e avete scopato?”

.....CONTINUA ...


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