Una guida pratica
di PNL, educazione emotiva e strategie didattiche per insegnanti consapevoli
DEDICATO a tutti i bambini, ragazzi e adolescenti …
che vanno a scuola.
I bambini
hanno bisogno
di essere felici,
non di essere migliori.
Ogni bambino impara secondo il proprio ritmo.
INDICE
Pag.
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Premessa
Introduzione
- Consiglio
1
- Giochi per conoscersi
2
- Prerequisiti
3
- Lettura e lettura ad alta voce
4
- Scrittura
5
- Il cervello
6
- Lo stress
7
- Comunicazione
8
- PNL e presupposizioni
9
- Esperimento di Rosenthal
10
- Metodi di studio
11
- Tipi di apprendimento
12
- Cosa insegnare agli studenti di tutte le età
13
- Opinioni sul corsivo
14
- Neuroni specchio
15
- Sistemi rappresentazionali e linguaggi dell’amore
16
- Emozioni e apprendimento
17
- Ottimismo e buonumore
18
- Alunni difficili
19
- Competenze e intelligenze multiple
20
- Mappe mentali
21
- Rapporti con i genitori
22
- Albero genealogico
23
- Lavoro a gruppi, a coppie e di gruppo
24
- Rimproveri, critiche, lodi e gratificazioni
25
- Regole e disciplina
26
- Onde elettromagnetiche, Televisione,
Internet, Tablet, ecc.
27
- Mantenere viva l’attenzione e annoiarsi
28
- Compiti a casa
29
- Alimentazione
30
- Benessere fisico
31
- Cose di varia quotidianità
32
- Meditazione
33
- Interrogazioni e verifiche
34
- Aneddoti e varie
Conclusioni
Appendici
Bibliografia
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9
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PREMESSA
“L'umanità
ha scoperto che poteva incrementare la notevole capacità di imparare, grazie a
un'istituzione: la scuola. La pedagogia attiva è appannaggio esclusivo della
nostra specie: nessun altro animale si prende il tempo di insegnare competenze
nuove ai propri figli, attivamente, prestando attenzione alle loro difficoltà e
ai loro errori”.
Stanislas
Dehaene
(Psicologia cognitiva sperimentale)
“Ognuno
è un genio. Ma
se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui
passerà tutta la sua vita a credersi stupido”. Albert
Einstein
(fisico)
“Gli
insegnanti sono persone che apprendono (che è una delle principali ragioni per
cui si sceglie di intraprendere la professione) e sono desiderosi di
raccogliere idee e pratiche che possano migliorare la loro efficacia”. Howard
Gardner
(psicologo)
“…
quello dell’insegnante è un lavoro meraviglioso e pesantissimo. E non finisce
quando è finita l’ora in classe. Devi prepararti, studiare, farti venire delle
idee, conoscere i bambini uno ad uno, conoscere le loro famiglie, i loro
problemi. Il tutto per uno stipendio modesto. Spesso con la complicazione di
dover andare a insegnare in posti lontani, facendo chilometri da casa a scuola.
Tutti i giorni, col sole, con la pioggia, con la nebbia. Ho capito che ci vuole
un’immensa passione per farlo. Ancora di più in una società che i maestri li
comprende e li apprezza sempre di meno”.
Antonio
Albanese (Intervista
su “Informatore” Coop riguardo il suo film “Un mondo a parte”, dove interpreta
un insegnante di scuola primaria)
Durante
la settimana l'insegnante ha uno o due giorni impegnati in riunioni di
carattere organizzativo/didattico e un altro giorno (o due) occupati in altre
riunioni di attività aggiuntive. Il tempo che rimane può essere riservato alla
palestra, a fare la spesa, ad andare in farmacia, in lavanderia o a una visita
medica. Nel fine settimana l’insegnante ha il diritto di riposarsi e dedicarsi
alla famiglia e agli amici. Così resta poco tempo per studiare, leggere.
E
ci sarebbero – ci sono – le lezioni da organizzare, i compiti da correggere, le
verifiche da predisporre… Il fatto che rimanga poco tempo va a discapito del
lavoro con gli studenti, lavoro preparato spesso in fretta, scarsamente curato
e personalizzato. Il docente rischia di diventare incolto, con poca
preparazione, non professionale. Certo la colpa non si può attribuire ai
docenti, la maggior parte dei quali si impegnano giorno e notte (forse notte
no, ma so di colleghi che vanno a dormire molto tardi per completare il
lavoro); secondo me nella scuola è entrata troppa burocrazia, troppe scartoffie
da riempire, a volte inutili o quasi. Forse il Collegio dei Docenti potrebbe
trovare il modo di snellire le “pratiche” e lasciare più margine di “respiro”
ai docenti. Un insegnante meno pressato e più rilassato farà senz’altro un
lavoro migliore. Gli insegnanti di oggi, come quelli di ieri, vengono istruiti
e formati soprattutto per quanto riguarda il pianificare una lezione o come
preparare i materiali; imparano le varie teorie e metodologie, ma penso che
abbiano pochissime informazioni sul funzionamento del cervello, su come avviene
l'apprendimento, su come comunicare, su come operano le emozioni e su come
insegnare queste abilità ai discenti.
Eppure
sono loro che influenzano le menti di coloro che saranno gli adulti di domani,
che possono ispirare e coinvolgere gli studenti per entusiasmarli
all’apprendimento. Non basta dare delle nozioni, bisogna dare loro gli
strumenti affinché siano in grado di pensare, ricercare e conoscere da soli. Negli
anni sono stati proposti tanti e variati metodi e modelli, alcuni buoni, altri
meno, alcuni innovativi, altri meno o per niente. I docenti a volte si perdono
e si chiedono quale sia l’efficacia e la validità delle innovazioni proposte;
se siano un aiuto per i discenti o soltanto una moda.
Ci
sono allievi, anche piccoli, che si annoiano a scuola, che non ci vanno
volentieri, mentre ci sono altri che ci andrebbero anche quando sono malati e
credo che questo dipenda molto dagli insegnanti, oltre che da quello che è
stato detto, raccontato, fatto capire ai ragazzi dall'atteggiamento dei
genitori e delle persone adulte di riferimento. Ci sono bambini che apprendono nonostante
la scuola e questi bambini apprenderebbero comunque, con qualsiasi metodo e con
qualsiasi modo di insegnare. Non serve che i docenti si preoccupino di questi
bambini perché appunto essi sono capaci di andare avanti da soli. Ci sono poi i
bambini che non apprendono nonostante la scuola ed è a questi che
bisogna prestare la massima attenzione e la massima cura. È per loro che io ho
preparato il mio percorso di apprendimento della letto-scrittura ed è pensando
a loro che io ho scritto questo libro.
ESERCIZIO
(?)
Voglio
prima di tutto che pensiate al vostro lavoro, alla professione che
spontaneamente o “spintaneamente” avete scelto.
Che
cosa (o chi) vi ha spinto a diventare insegnanti? Qual era la vostra
aspirazione, il vostro scopo? Che cosa volete trasmettere ai vostri studenti?
Cosa
desiderate per loro?
Immaginate
poi di parlare ai discenti, di qualsiasi età, e spiegate loro che cos’è la
scuola, a cosa serve, cosa significa per voi essere insegnante e cosa significa
essere alunno, studente: quali sono i rispettivi ruoli, diritti, doveri.
Con
i più piccoli potreste inventare una storia per spiegare tutto questo, i più
grandi capiranno anche delle metafore.
In
seguito, in aula, parlate con i ragazzi nel modo in cui avete immaginato;
potreste chiedere: Perché siamo qui? Cosa succede in questa stanza?
Perché
questa stanza ha bisogno di cura e di rispetto?
E
cercate insieme le risposte. Questo aiuterà a chiarire quali sono i rispettivi
ruoli, specialmente se ciò viene attuato all’inizio del lavoro con nuovi
studenti.
IL
MIO LAVORO
Io
penso che un insegnante dovrebbe promuovere le attitudini di ciascun bambino o
ragazzo, anche quelle di cui forse egli non si rende conto, e incentivare in
lui l’amore per se stesso e la consapevolezza delle proprie inclinazioni,
nonché dei propri limiti e diritti; dovrebbe inoltre fornire agli studenti di
tutte le età la capacità di esprimere le proprie idee e le proprie emozioni,
incrementando l’uso della parola e del linguaggio anche attraverso letture e
discussioni. Come insegnante di scuola primaria sono stata a contatto con
bambini dai sei agli undici anni per molto tempo.
Frequentando
corsi di aggiornamento, la scuola di Counseling Psicosomatico e il Master
Practitioner in PNL (Programmazione Neuro-Linguistica) ho avuto modo di
approfondire alcune tematiche come la comunicazione, l’empatia, l’ascolto
attivo, i messaggi “IO” (messaggi in prima persona per esprimere il
comportamento che ci disturba o non ci piace, cominciando la frase con il
pronome IO), la riformulazione, il non giudicare, la motivazione, il valore
delle emozioni, il pensiero positivo e l’importanza dell’ottimismo (trovate
molti di questi argomenti nel capitolo sulla Comunicazione).
Per
gli educatori utilizzare queste risorse è importante per creare un rapporto
efficace con gli alunni. In particolare, ho imparato che sono stati fatti
esperimenti per confermare il cosiddetto effetto Pigmalione (vedi capitolo
Esperimento di Rosenthal), cioè che la focalizzazione su determinate
aspettative produce una profezia che si auto-avvera. Le aspettative possono
condizionare la qualità delle relazioni interpersonali e il rendimento delle
persone. Purtroppo ho lavorato pochi anni, dopo aver imparato tutto questo e
quindi l’ho potuto applicare solo in parte con l’ultimo gruppo a cui ho
insegnato, dalla prima alla quinta della scuola primaria. *1
Le
presupposizioni, le credenze, le aspettative che abbiamo sulle esperienze che
stiamo facendo, influenzano in maniera determinante i risultati.
COME
SI APPRENDE
Se
volete che i vostri allievi imparino, dovete sapere come funziona
l’apprendimento. Infatti esso è per certi versi automatico, ma le conoscenze e
le competenze scolastiche devono essere apprese. Il bambino conosce imitando,
scoprendo, sperimentando, oltre che seguendo la spiegazione dell’insegnante. L’apprendimento
migliore passa attraverso il divertimento e l’emozione. Quando si diverte,
quando ha un’emozione, magari – meglio – piacevole (stupore, commozione,
gratitudine, gioia…), impara più velocemente. Fate in modo di tenere lezioni
interessanti, divertenti e brevi. Il tempo di attenzione è direttamente
proporzionale all’età. I bambini da zero a cinque anni hanno un’attenzione
molto limitata che va da qualche secondo a tre o quattro minuti. A sei anni
possono tenere l’attenzione per pochi minuti consecutivi (raramente più di
cinque). In classe quinta primaria possono arrivare anche alla mezz’ora.
I
bambini non possono e non devono stare fermi a lungo. Più sono piccoli e più
hanno bisogno di muoversi, specialmente all’aria aperta, tutte le volte che è
possibile. Intervallate le lezioni in aula con movimenti (estendendosi in punta
di piedi, allungando le braccia in alto), giochi, corse in giardino, salti,
grida (se fattibile). Parleremo in seguito di questi e di altri argomenti.
PER
CHI È QUESTO LIBRO
Ho
scritto questi suggerimenti pensando in particolare ai docenti e alle docenti
della scuola primaria, perché in tale ambito ho lavorato, ma saranno certamente
utili anche ai professori delle scuole secondarie e direi indispensabili agli
insegnanti e alle insegnanti delle scuole d’infanzia e di più ancora agli
operatori degli asili nido. (A questi ultimi in particolare consiglio anche
l’altra mia pubblicazione: “Genitori si diventa”, valido per tutti
coloro che hanno a che fare con bambini in età prescolare). Il testo è adatto e
interessante anche per i genitori, che possono proporlo e suggerirlo agli
insegnanti dei loro figli o utilizzarlo in buona parte nei loro rapporti con
figli, colleghi e collaboratori.
Nel
libro scriverò al maschile (gli insegnanti, il collega, il preside), perché
così è la regola grammaticale e perché è un’inutile perdita di tempo scrivere
tutto due volte (o tre).
“Dimmi e dimenticherò, insegnami e forse ricorderò.
Coinvolgimi e imparerò”.
Benjamin Franklin
“[…]
la nostra capacità di risolvere problemi, dice la scienza, è direttamente
collegata alla nostra capacità di pensare, parlare, elaborare periodi mentali
anche complessi, ragionare, mettere in ordine parole e idee e cose del
genere. Se io, Paolo, devo pensare alla stesura di un capitolo che sia diverso
e nuovo rispetto ai precedenti (o di una caption per Instagram, o di un
messaggio da mandare alla mia fidanzata, il concetto è lo stesso), devo
attivare il cervello, immaginare scenari, elaborare piani di azione, attivare
sinapsi nervose esistenti e crearne di nuove. Se faccio fare questa cosa a
un’applicazione, prima o poi il reticolo di sinapsi che ho in testa si
atrofizzerà, avrà bisogno di informazioni sempre più semplici da elaborare,
passerà dall’essere capace di gustarsi un piatto complesso di Chef Bartolini al
riuscire a mangiare solo omogeneizzati.
La
cattiva notizia è che il processo è già ampiamente in corso: fra i giovani,
quelli che sanno parlare come si deve e articolare idee e concetti sono sempre
meno. La stessa scuola è un modello di programmazione del cervello: senza
entrare nel merito dell’impianto scolastico nel suo complesso, diciamo
semplicemente che “installa” nei giovani programmi molto “tecnici” e di certo
antiquati: raramente ci si concentra su quelle skill – soprattutto nel periodo
in cui i giovani ne avrebbero più bisogno – che riguardano il modo in cui
“funzioniamo”. Inutile sapere a memoria Manzoni, se poi (come capitava a me)
fai scena muta per l’imbarazzo o la tua autostima sotto i tacchi ti blocca
proprio sul più bello […]
I
dati, parlando proprio di istruzione e scuola, non sono confortanti. Il
tasso di analfabetismo funzionale è in crescita: la maggior parte delle persone
non è in grado oggi di comprendere pienamente il senso di un testo anche se
scritto in modo chiaro e comprensibile. Media e social hanno abbassato
talmente tanto il livello dei contenuti offerti da aver toccato, ormai da
tempo, il fondo del barile […]”
Paolo Borzacchiello (Usa il cervello prima che lui usi
te)
CHICCHE
*1
Fin dal primo giorno di scuola ho detto ai miei alunni che essi erano stati
scelti per formare la classe migliore, la più brava di tutta la scuola, e li ho
incoraggiati a comportamenti corretti.
INTRODUZIONE
Mi
chiamo Daniela Giuliani, sono nata a Firenze dove vivo e opero; ho lavorato
come insegnante di scuola primaria e sono in pensione dal settembre 2018. Sono
sempre stata interessata al funzionamento della mente umana, così ho
frequentato dei corsi e ho conseguito il diploma di Counseling e anche il
Master Practitioner in PNL.
COUNSELING
Il
Counseling è una relazione di aiuto non terapeutico fra un
professionista che ha lavorato su se stesso e ha imparato e sperimentato delle
tecniche, cioè il Counselor, e un Cliente che è una persona che ha una
difficoltà momentanea. Ho sottolineato alcune parole: mi spiego: non
terapeutico, perché il Counselor non è un medico, non è uno psicologo né
uno psicoterapeuta: è una persona che ha studiato e lavorato su se stesso per
imparare delle tecniche di aiuto, non dà farmaci. Di solito non dà neanche
consigli, ma aiuta il cliente a trovare dentro sé le risorse necessarie. Infatti
chi si rivolge al Counselor non è un paziente, ma un Cliente, cioè una
persona che si trova in difficoltà, una difficoltà momentanea, che non
gli impedisce di fare la sua vita normalmente: può essere un problema di
rapporto di coppia, sul lavoro, una scelta da fare o una decisione da prendere.
Per questo il Counseling di solito si risolve con pochi incontri.
PNL
E
dunque cos’è la PNL?
Si
può considerare la Programmazione Neuro Linguistica come un insieme di
tecniche, un metodo per cambiare i pensieri e i comportamenti tramite un uso
consapevole del linguaggio. È la possibilità di muoversi dal punto di partenza
verso il proprio scopo, dallo stato attuale allo stato desiderato, è un modo
per raggiungere i propri obiettivi, usando le risorse e superando gli ostacoli.
Se cercate su Internet troverete che la PNL viene usata in vari campi per
influenzare, convincere, a volte manipolare le persone: vendita, negoziazione,
politica, seduzione, pubblicità, leadership. Quando è usata bene può essere
utile proprio nella comunicazione. Inoltre il conoscerla è già un modo per
difendersi e non farsi “incantare”. Sarebbe bello che fosse insegnata nelle
scuole come materia; avremmo dei ragazzi, e poi degli uomini e donne, migliori,
che saprebbero comunicare in modo efficace, sia con i coetanei che con gli
adulti, sia in privato che in pubblico.
Dovete
sapere che fino a qualche anno fa ero molto gelosa delle cose che sapevo, dei
metodi che usavo, dei libri che avevo. Adesso sono sempre più convinta che
tutti abbiamo da imparare qualcosa dagli altri ed è cosa buona e giusta
poterlo condividere. Sono venuta a conoscenza di tante informazioni sul
funzionamento del cervello e vorrei che tutti potessero sapere quello che so io
(e anche di più), per stare bene, vivere meglio e avere rapporti migliori. Non
siete obbligati a credere a tutto quello che vi dico e non per questo dovete
cambiare le vostre abitudini o credenze.
Certo
che dopo diversi anni di esperienza nella scuola, penso di essere diventata una
brava insegnante; poi mi hanno mandato in pensione…
Queste
conoscenze, unite a tanti anni di esperienza, mi hanno molto aiutata nel mio
lavoro, perciò ho preparato dei percorsi, dei corsi per docenti e non solo, in
particolare su come “Comunicare, Emozionarti ed Essere Ottimista”.
Quindi
ho deciso di trasformare i corsi in un libro, questo libro, perché un libro
rimane e lo potrete rileggere tutte le volte che volete, nonché consigliarlo o
regalarlo ai vostri amici e colleghi. Il testo parla di insegnanti, si rivolge
a tutte le persone che vogliono diventare docenti, a quelle che lo sono già o
che comunque operano con bambini e ragazzi. Perciò è adatto e interessante
anche per i genitori, che possono proporlo e suggerirlo agli insegnanti dei
loro figli o utilizzarlo in buona parte nei loro rapporti con colleghi e
collaboratori.
Mi
sono fatta queste domande:
Come
comunichiamo con i nostri alunni?
Come
aiutare gli alunni a gestire le loro emozioni?
Possiamo
aiutarli a essere indipendenti?
Possiamo
aiutarli a fare delle scelte buone?
Possiamo
aiutarli a essere ottimisti?
Possiamo
aiutarli a ragionare con la loro testa?
Possiamo
farli stare bene?
E
soprattutto:
Come
aiutarli a crescere donne e uomini liberi di essere se stessi?
Le
risposte a queste domande saranno utili anche per migliorare e potenziare il
rapporto fra coetanei e con l’adulto, oltre che, ovviamente, l’appren- dimento.
Nessuno nasce insegnante, lo impariamo strada facendo e spesso quello che ci
insegnano al Liceo o all’Università non basta … perché nessuno nasce “imparato”
… e l’esperienza è un altro paio di maniche.
Ci
sono delle cose che, a saperle prima, aiutano. Fra l’altro comincerete a:
-
conoscere origine e funzione delle Emozioni per guidare i vostri alunni,
-
riconoscere ed evitare gli errori nella Comunicazione e quindi comunicare in
modo efficace con studenti e famiglie,
-
utilizzare l’Ascolto Attivo,
-
usare e insegnare l’Ottimismo.
Alla
fine di molti capitoli ci sono note e suggerimenti di vita scolastica pratica,
per la gestione del lavoro e della classe. Li ho chiamati “CHICCHE”, come dei
confettini, e sono contrassegnate da un asterisco numerato.
Tanti
sono i libri di pedagogia, psicopedagogia ecc. che potete trovare in libreria.
Spesso quei testi parlano ognuno di un argomento specifico e bisognerebbe
leggerne a decine per avere una visione completa. Io mi sono accorta,
insegnando e conoscendo insegnanti all’inizio della loro carriera, che studiare
la teoria ed entrare in un’aula sono due cose diverse - e la seconda a volte
può essere spaventosa. Quindi, questo libro.
L’indice
è particolareggiato in modo che possiate trovare quello che vi serve.
Infatti
potrete leggerlo dalla prima pagina all’ultima oppure “saltellare” qua e là
alla ricerca di ciò che vi è più utile.
CONSIGLIO
Un
primissimo consiglio prima di cominciare, dedicato a chi inizia la professione.
A volte i ragazzi spaventano e non si sa come tenerli, specialmente quando la
differenza di età è poca e vi vedono come fratelli o sorelle maggiori. In ogni
caso, assolutamente non fate loro capire che avete paura o che non sapete come
fare, evitate di urlare e di chiedere aiuto a qualcuno, a meno che non sia
un’emergenza. Se chiamate il collega di un’altra classe o il preside, staranno
buoni finché c’è lui, ma riprenderanno la confusione appena se ne andrà. E voi
avrete perso credibilità e autorità.
Cercate
di mantenere un tono calmo e la voce bassa. La cosa migliore è che abbiate
preparato molto bene la lezione e gli esercizi da proporre, in modo da non
avere vuoti o incertezze.
E
… cominciamo.
Capitolo 4
SCRITTURA
Ancora
forse qualcuno si chiede che carattere usare. Lo stampato maiuscolo è
sicuramente da prediligere nei primi tempi, che a seconda del livello della
classe possono andare da quattro/cinque mesi a tutta la prima della primaria.
Esso è più semplice da scrivere e ricopiare. Trovo assolutamente inutile farli
scrivere in stampatello minuscolo (quello dei libri, da usare per leggere), che
sarà per loro una fatica vana. Se e quando avranno imparato correttamente lo
stampato, sarà più facile passare al corsivo. Se avete in classe un DSA,
probabilmente sarà bene farlo continuare ad usare lo stampato maiuscolo anche
in seguito. Via via che insegnate a scrivere una lettera, curate che il gesto
grafico sia corretto. Incoraggiate i mancini a mettere la mano nel modo giusto
per poter anche vedere ciò che scrivono.
Non
basta saper riprodurre il gesto grafico per saper scrivere. Occorre comprendere
quali suoni ci sono nella parola e associarli al loro segno.
Quando
il bambino conosce una nuova lettera, fate in modo che la scriva e la legga più
volte, in modo da collegare nella mente suono a segno.
PRIMA
DI SCRIVERE…
La
scrittura è un processo di analisi.
Quindi
occorre partire con il primo studio delle lettere solo dopo l’acquisizione
della competenza analitico-sintetica del vocabolo orale, e comunque, come una
operazione a sé stante.
“Il
nostro sistema di scrittura è di tipo fonematico: vengono rappresentati
nell’ordine visivo gli elementi minimi che costituiscono la parola del
linguaggio verbale; pertanto il termine orale, per essere scritto, deve essere
prima suddiviso nei fonemi che lo compongono: il segno scritto rappresenta un
valore fonico, senza il quale non avrebbe senso l’elemento grafico. L’analisi
della parola, poiché si determina come attività orale, può essere coltivata
propedeuticamente solo sul piano fonico senza l’impegno dello scrivere. In
secondo tempo l’analisi fonematica del vocabolo si coordinerà con la
composizione del vocabolo stesso, mediante lettere mobili o con la
registrazione grafica […]”
Giovanni
Germano (da
Lettura e scrittura come un gioco)
Quindi,
senza scrivere imparano a scrivere. Come un gioco. Si parte dalle stesse due
parole della sintesi (es. pane e velo), l’insegnante li mostra, fa il gioco
della sintesi (vedi capitolo sulla scrittura), poi chiede se qualcuno vuole
provare a dire una delle due parole “in modo strano” come ha fatto l’insegnante.
Ci saranno sicuramente dei volontari, poi si può fare per alzata di mano, chi
indovina viene chiamato. Fare attenzione che prima o poi tutti partecipino. Non
forzateli perché di solito l’analisi è più difficile della sintesi.
Valgono
le stesse regole della scrittura ed è bene usare le stesse parole.
Quando
tutti sapranno farlo, si aggiunge un’altra parola…
È
importante, che le parole abbiano un significato concreto e conosciuto… Quando
è possibile portate in aula gli oggetti reali…
Se
qualcuno non riesce, non è capace, si ripropongono sempre le prime due parole,
finché non ce la fa. Il perdurare di difficoltà nell’analisi di parole semplici
oltre i cinque – sei anni può far dubitare di difficoltà specifiche da indagare
in maniera approfondita.
Io
penso che il bambino per apprendere debba ritrovare il suono in situazioni che
gli sono familiari e che debba in qualche modo “vivere” l’esperienza dei suoni
anche sul proprio corpo e nella propria mente, li debba “sentire” dentro di sé.
Nel mio libro per l’apprendimento della letto-scrittura le lettere sono
insegnate a partire dall’esperienza, dall’affettività e gestualità del bambino,
gestualità che ricorda la forma delle stesse lettere scritte.
Queste,
come ho già detto, sono presentate tutte le volte che è possibile come suoni
singoli emessi da qualcuno o da qualcosa, per evitare il suono dato come
lettera iniziale. Ogni suono è presentato con una storia molto breve, talvolta
divertente, ma legata in qualche modo all’esperienza dell’alunno.
Anche
per i suoni “difficili”, l’acca, le doppie, i digrammi e i trigrammi, ho
seguito e consiglio il metodo Germano, dove nell’analisi e nella sintesi i
suoni sono quelli della pronuncia. Alcuni esempi (Nota: uso le lettere
straniere per spiegare cosa intendo nella pronuncia): chiave K-I-A-V-E; ragno
R- A-GN-O (sono quattro suoni); palla P-A-L(forte)-A (sono quattro suoni);
gioco J-O-K-O; scivolo SC-I-V-O-L-O; sciarpa SC-I-A-R-P-A; scarpa S-K-A-R-P-A.
Nella scrittura, questi suoni, all’inizio, vengono sostituiti da simboli
specifici. Trovate maggiori indicazioni, ovviamente, nel mio “Libro API”, oltre
che nel testo di Giovanni Germano.
Partendo
da questo metodo io ne ho elaborato uno mio, il mio metodo si ispira quindi a
quello di Germano, dove l’insegnamento dei suoni e la lettura vanno di pari
passo, seguendo un ordine preciso. Ho frequentato, molti anni fa, un corso di
aggiornamento del dott. Bisogni il quale faceva notare come fosse assurdo far
scrivere ai bambini parole con lettere che ancora non hanno imparato; la stessa
assurdità la ritrovo nei libri di lettura delle varie case editrici che mettono
qualsiasi parola con qualsiasi lettera fin dall’inizio.
Anche
per questo motivo ho predisposto i due testi, uno per l’insegna- mento/apprendimento
della letto-scrittura e uno specifico per la lettura. Non li trovate, per ora,
in libreria. Potete chiederli a me e ve li mando via Email in PDF. Ci sono
anche i cartelloni da colorare. Io li ho usati con successo nella mia classe e
tutti hanno imparato a leggere e scrivere più o meno velocemente, anche chi
pareva dovesse avere difficoltà.
danielagiuliani55@gmail.com
Dal Capitolo 9
L’ESPERIMENTO
DI ROSENTHAL E JACOBSON
[...]
L’esperimento
di Rosenthal fu eseguito negli anni sessanta in una scuola primaria di San
Francisco in accordo con la direttrice Lenore Jacobson.
Un
gruppo di alunni e alunne vennero sottoposti a dei test di intelligenza.
Dopodiché scelsero a caso, cioè senza tener conto dei risultati dei test,
alcuni bambini e informarono gli insegnanti che si trattava di alunni molto
dotati intellettualmente. Alla fine dell’anno furono controllati e risultò che
i bambini e le bambine selezionati (a caso) avevano migliorato di molto il
proprio rendimento rispetto al gruppo di controllo ed erano diventati i
migliori della classe. Questo effetto benefico, si avverò grazie all'influenza
positiva degli insegnanti che riuscirono a stimolare negli alunni segnalati da
Rosenthal una viva passione e un forte interesse per gli studi.
Quindi,
in maniera spesso inconscia, gli insegnanti etichettano i loro alunni e ne
condizionano i comportamenti. *1
Potete
trovare il resoconto dell’esperimento nel libro di Rosenthal e Jacobson
“Pygmalion in the Classroom”.
Funziona
anche con i ratti… In un altro esperimento venne chiesto a due gruppi di
studenti di testare il comportamento di alcuni ratti. A un gruppo venne detto
che i ratti erano stati selezionati come particolarmente intelligenti,
all’altro gruppo che erano ratti molto stupidi. Gli studenti, con le loro
osservazioni crearono “artificialmente” due gruppi differenti. Cioè i ratti si
comportavano rispettivamente in maniera intelligente e in maniera stupida.
In
pratica, se un insegnante considera uno studente particolarmente intelligente,
tenderà a trattarlo in modo diverso dagli altri e il suo comportamento
influenzerà il comportamento del ragazzo che otterrà un risultato migliore.
Questo vale anche in senso negativo. Se un insegnante considera il suo alunno
incapace e lento, tenderà a trattarlo come se fosse tale e il ragazzo si
adeguerà a questo giudizio, quindi avrà un rendimento scarso e poca autostima. Così
il giudizio di valutazione può essere distorto positivamente o negativamente;
se il docente si fissa su un aspetto negativo della personalità di un alunno,
può oscurarne le caratteristiche positive. *2
Le
aspettative possono condizionare la qualità delle relazioni interpersonali
anche fra docenti e studenti. Perciò se vogliamo ottenere risultati migliori,
bisogna aspettarsi risultati migliori. *3
Mai
prevedere il fallimento in classe. Lo stato d’animo in cui mettete i discenti
influisce sul risultato. Uno stesso compito, una spiegazione, può dare esiti
pessimi se viene presentato come “difficile” e risultati buoni se viene
presentato come semplice, adatto a loro e fattibile. Se sapete che un test può
essere particolarmente difficile, dite agli studenti che il test “sembra”
impegnativo ma che siete sicuri che andranno bene e lo sapranno risolvere se
studieranno per prepararsi. Stabilite aspettative alte, comunque non eccessive
(altrimenti si scoraggiano). Gli studenti ottengono di più quando i docenti
hanno aspettative più elevate. Quando assegnate agli studenti un compito un po’
difficile, dite che è alla loro portata e possono farcela.
Se
credete davvero che essi non possano svolgere il compito, non glielo proponete
e rispiegate l’argomento, aspettando che l’abbiano ben compreso.
Occorre
che stiate attenti a cosa dite ai vostri discenti, e prima ancora a cosa
pensate di loro. Dire a un bambino:
-Tanto
non lo sai fare.
-Non
ti riesce.
-Non
lo capisci.
-Sei
un ciuchino (c’è chi lo ha detto)
-Da
grande non troverai un buon lavoro.
Sono
tutte frasi che presuppongono una mancanza di stima e di fiducia nei suoi
confronti. Tutti gli esseri umani sono molto sensibili a quello che dicono
persone più autorevoli di loro (il medico, per esempio, o l’avvocato, il
professore…); tanto più lo sono i bambini verso i docenti. Per i ragazzi ciò
che dice l’insegnante è di grande valore, è un comando, è una direttiva di vita
e più sono piccoli più è così. I bambini piccoli prendono tutto per vero, non
razionalizzano, sono senza giudizio, cioè non hanno il filtro della mente
razionale. Nei primi sette anni i bambini imparano osservando gli altri (in
particolare genitori o altri adulti di riferimento) e i comportamenti appresi
stanno nel subconscio, dove sono programmati i comportamenti automatici appresi
dagli altri. Il 70 % di questi programmi sono negativi e auto-sabotanti. Critiche
in prevalenza negative nei primi sette anni possono programmare il bambino a
non amare se stesso. Il bambino a cui viene detto che non è capace di fare una
cosa, non ci proverà nemmeno, e se ci prova, il suo inconscio farà di tutto per
farlo fallire. *4
CHICCHE
*1
Evitate di parlare con i colleghi lamentandovi di alcuni studenti o della
classe. Questo può predisporre al fallimento sia per gli studenti, sia per il
vostro insegnamento, sia per l’insegnamento dei colleghi stessi.
*2
Tutto ciò può essere completamente inconscio e involontario.
*3
Quando pensate alla vostra classe immaginatela con tutti gli studenti
tranquilli, che vi ascoltano desiderosi di imparare.
L’effetto
placebo (penso che mi farà bene) – e nocebo (penso che mi farà male) – vale
anche per il cibo e i farmaci. Se vi aspettate che vi facciano bene o male,
così sarà: il loro effetto dipende molto da cosa pensate o se siete sotto
stress.
*4
Se può farcela da solo, non dite mai che non ce la farà, anzi, incoraggiatelo,
oppure date dei suggerimenti.
Capitolo 12
COSA INSEGNARE AGLI STUDENTI DI TUTTE LE
ETÀ
“L’educazione
dovrebbe inculcare l’idea che l’umanità è una sola famiglia con interessi
comuni. Che
di conseguenza la collaborazione è più importante della competizione”.
Bertrand
Russel
“Tutti
parlano di pace, ma nessuno educa alla pace. A questo mondo si educa per la
competizione e la competizione è l’inizio di ogni guerra. Quando si educa alla
cooperazione e per offrirci l’un l’altro solidarietà, quel giorno si starà
educando per la pace”
Maria
Montessori
Spesso
il lavoro dei docenti è poco riconosciuto, molte volte l’insegnante usa (perde)
del tempo per seguire burocrazia e riunioni, non sempre indispensabili. Questo
può far calare l’entusiasmo e anche lasciargli meno tempo per pensare alla
classe e preparare il suo lavoro al meglio. In alcune scuole mancano risorse,
strumenti, tecnologie che gli studenti già sanno usare.
Non
è detto che i docenti siano preparati a gestire una comunicazione efficace con
gli allievi, a insegnare loro a governare le proprie emozioni, a regolare i
loro comportamenti e rapporti con i coetanei, a chiarire i loro obiettivi,
oltre ad aiutarli a trovare il loro metodo di studio. Spesso sono pressati da
una programmazione delle discipline che lascia il tempo a poco altro. Secondo
me occorre dare agli insegnanti più strumenti, dare loro la possibilità di
informarsi, studiare, sperimentare, insegnare loro teorie, metodologie e
“trucchi” per interessare, per la conduzione della classe e per portare al
successo tutti, specialmente chi è un po’ in ritardo, perché i “bravi” imparano
(manca poco) anche da soli. Occorre predisporre per loro compiti giustamente
sfidanti, non troppo difficili ma neanche troppo facili e probabilmente non
uguali per tutti. Capite che se il compito assegnato è troppo difficile, si
scoraggiano e si disamorano verso la scuola.
Se
è troppo facile si annoiano e rischiando di perdere interesse per la scuola.
Giustizia è dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno, non a tutti la stessa cosa.
Per fare questo ci vuole tempo e tempo e tempo, oltre ai materiali e alle
conoscenze. E collaborazione, passaggio di idee, tecniche e strumenti fra
colleghi, da una classe all’altra. Ogni studente ha le proprie capacità e in
larga misura la sua formazione viene dagli educatori con cui passa la maggior
parte del proprio tempo, spesso più che in famiglia. Attraverso i loro
insegnamenti i bambini e i ragazzi si fanno un’idea del mondo e acquisiscono
informazioni e modalità di comportamento che utilizzeranno per tutta la vita.
Insegnare,
istruire, formare… sono tutti verbi che presuppongono il costruire, il mettere
dentro delle nozioni, come se gli allievi fossero vasi da riempire, argilla da
plasmare. Tutto il contrario di Educare (Ex Ducere) che vuol dire tirare fuori.
Credo
che il compito degli insegnanti non sia quello di trasmettere nozioni e
conoscenze sui vari argomenti. Perlomeno non solo quello. Mi dispiace che è ciò
che ho fatto io per molti anni. Solo con gli alunni degli ultimi cinque/otto
anni di insegnamento, avendo imparato molti contenuti sul funzionamento della
mente, sull’ascolto e sulle emozioni, ho iniziato ad aggiungere elementi
riguardo a una educazione – passatemi il termine – più spirituale, personale,
interiore. La scuola dovrebbe scoprire e valorizzare i talenti e le capacità di
ogni studente, perché egli possa diventare ciò che desidera, essere felice di
fare un lavoro che gli piace e realizzare la propria vita.
Vi
consiglio di impiegare del tempo per sviluppare in loro l’intelligenza emotiva,
la creatività, i valori, il senso di responsabilità. Penso sia importante che i
ragazzi di ogni età si confrontino prima di tutto con loro stessi, si
interroghino sullo scopo della loro vita, sulla necessità di perdonare, di
collaborare. Chiedete loro come si sentono, cosa provano, cosa sognano, chi
sono e chi vorrebbero essere, chi vogliono diventare. E ogni tanto fate, e fate
fare, un respiro consapevole, profondo, meglio due o anche tre. Porterà via
poco tempo e ne guadagnerete in serenità e attenzione.
Molto
di ciò che avevo imparato in diversi ambiti, come la scuola di Counseling, lo
studio della Programmazione Neuro-Linguistica e i vari corsi che ho frequentato
sulla Comunicazione, l’Intelligenza Positiva, le Mappe mentali e altri l’ho
usato con la mia classe. Questo mi ha aiutato nel lavoro, nel rapporto con i
colleghi e soprattutto con gli scolari, ai quali ho voluto insegnare anche
delle piccole tecniche di PNL.
Per
usare la Programmazione Neuro-Linguistica occorre avere un atteggiamento di
apertura, essere disposti a cambiare, a sperimentare nuovi punti di vista,
nuovi modi di porsi riguardo al proprio lavoro, cominciando fin da piccoli a
parlare di emozioni, riconoscerle e nominarle. Ciò aiuterà e promuoverà il
rapporto dei docenti con i ragazzi, ma anche con se stessi e con i colleghi. Le
metodologie da usare sono l’ascolto attivo, i neuroni specchio, uso delle
ancore spaziali (= utilizzo strategico degli spazi in aula), la comunicazione
efficace e altre tecniche che favoriranno la relazione e il benessere, oltre
che l’insegnamento. Occorre insegnare agli allievi vari modi e tecniche di
apprendimento e di studio: il ruolo del docente è basilare per questo. I
ragazzi devono scoprire e sapere perché vanno a scuola e ciò che imparano deve
essere significativo, utile per la loro vita. Perciò aggiungete un perché alle
proposte didattiche: dal perché si arriva al valore.
Riflettere
su perché fanno qualsiasi loro azione abbassa lo stress, aumenta la dopamina,
la serotonina e l'ossitocina. Dare la motivazione dà forza e valore alla
richiesta, sia con i discenti che con i colleghi, che con se stessi.
“«Uno
è uguale a uno, ma è una bestemmia», afferma Crepet, sottolineando come
l’unicità di ogni individuo sia spesso soffocata da un sistema educativo che
tende all’uniformità. Questa mentalità omogeneizzante non solo limita la
creatività, ma annulla anche l’individualità, un aspetto fondamentale
dell’essere umano. Crepet mette in discussione la mancanza di passione nel
sistema educativo quando dice: «Ho chiesto agli studenti cos’è che vi
farebbe alzare un’ora prima. Mi hanno risposto la sveglia… Ah, non la
passione?»
Questa
mancanza di entusiasmo per l’apprendimento è il risultato di un sistema che
pone più enfasi sui voti che sullo sviluppo personale.
Lo
psichiatra critica anche la tendenza moderna a evitare il fallimento a tutti i
costi. «La scuola non boccia più, le famiglie non educano più»,
sottolinea. Questo approccio non solo priva gli studenti della possibilità di
imparare dai propri errori, ma crea anche una generazione di individui non
preparati alla vita reale. Uno degli aspetti più controversi toccati da Crepet
è la mercificazione dei sogni. «Ci vogliono i soldi per i sogni», è il
messaggio che troppo spesso viene impartito ai giovani. Ma Crepet si oppone,
sostenendo che sono i sogni a generare opportunità finanziarie e non il
contrario. Da Crepet, dunque, una riflessione profonda sulle lacune del sistema
educativo. Da un sistema che soffoca l’unicità e la passione, a un’educazione
che evita il fallimento e limita i sogni, le critiche sollecitano un
ripensamento urgente di come educare le future generazioni.”
Paolo
Crepet (psichiatra,
sociologo, saggista e opinionista. In
orizzontescuola.it/crepet)
Occorre
davvero che la scuola E-duchi, cioè tiri fuori il meglio da ognuno, in base
alle sue aspirazioni, desideri, capacità e inclinazioni. Occorre sviluppare
senso critico, curiosità, desiderio di scoprire e di capire senza preconcetti o
pregiudizi. Occorre insegnare il dubbio e la ricerca della verità. Imparino a
non fidarsi e a non accettare passivamente tutto quello che è proposto da
libri, da Internet o televisione. *1
Occorre
sviluppare un senso di collaborazione, *2 invece della competizione;
valorizzare le differenze; insegnare loro come pensare.
I
ragazzi non devono rincorrersi cercando di essere l’uno più bravo dell’altro,
escludendo valori come solidarietà, condivisione, crescere insieme.
Possono
esserci ragazzi fragili, lenti, particolarmente sensibili o semplici.
Fate
comprendere, a loro e a tutti gli altri, che questi sono valori da coltivare,
non difetti da nascondere e tanto meno da dileggiare. Ogni persona è unica e
irripetibile ed è fantastico che sia proprio così.
Bisognerà
che troviate altri metodi, modi alternativi di insegnare, nuovi o desueti o
controcorrente, ma che siano quelli più adatti all’apprendimento di chi ha
caratteristiche e bisogni diversi. Potrete avere risultati diversi solo
attuando strategie diverse. Credo che sia importantissimo non dare certezze, ma
stimolare domande, dubbi, curiosità, ricerca, prima di tutto sugli argomenti
scolastici di tutti i giorni. Ovviamente secondo le età e i gruppi classe. *3
È
importante che insegniate ai vostri studenti a non cristallizzarsi in teorie,
che essendo appunto tali non hanno una dimostrazione certa. Mantenete la loro
mente aperta a varie possibilità. *4
Probabilmente
nessuno vi ha insegnato da piccoli a gestire la rabbia e le emozioni, a
parlarne e a viverle liberamente, a capire chi siete, a sapere cosa volete, ad
esprimerlo e a organizzarvi per realizzarlo, a lavorare per raggiungere la
felicità, ad amare la Terra e tutti i suoi abitanti, a comunicare in maniera
proficua, a sviluppare le diverse intelligenze: emotiva, relazionale,
finanziaria, sociale... Voi potete cominciare a parlare di questo con i vostri
allievi; spiegate quale grande valore ha il loro cervello. Essi potranno
acquisire più consapevolezza dei propri processi mentali e dei loro punti di
forza. Insegnate che attraverso l’intenzione, le parole e gli stati d’animo
possono ottenere molto di più nella vita di ciò che darebbe loro una laurea;
basta che siano disposti a trovare ciò che piace fare davvero e che fa battere
il cuore e brillare gli occhi. Aiutateli a scoprire ogni giorno perché sono su
questa Terra, ad essere consapevoli delle loro emozioni e di qual è la loro
meta, l’obiettivo della loro vita. Ogni essere umano è nato per essere felice e
la felicità, come la sofferenza, dipende da lui stesso, è una scelta personale.
L’essere
umano è programmabile, gestibile, condizionabile, e facilmente ipnotizzabile
dalla televisione, dai giornali, ecc.
Le
pubblicità utilizzano l’ipnosi conversazionale per far acquistare cose inutili
e ci sono programmi spazzatura.
In
grande distribuzione propongono cibo coperto da marchi che non vendono cibo ma
composti alimentari chimici facendo credere che ciò che mangi sia “naturale”
quando non è così.
[...]
MATEMATICA
E PNL
La
mente umana crede a tutto quello che può immaginare e questo le dà un grande
potere e aiuta i docenti nel loro lavoro. Insegnate ai bambini, fin da
piccolissimi a visualizzare prima immagini, poi anche parole.
Costruite
anche nella loro mente la stanza della matematica con tutti i suggerimenti
appesi alle pareti. Potete far visualizzare nella loro mente una macchinetta
che serva a calcolare. Per la matematica in particolare, è importante che ogni
fase si colleghi a quella precedente seguendo una sequenza di passaggi. Fate in
modo che i ragazzi amino la matematica e si divertano a risolvere problemi o
espressioni o calcoli. Insegnate a ridurre i problemi a livelli più semplici. Cominciate
dai numeri, dal saper contare, aggiungere e togliere. Incoraggiateli a vedere i
numeri nella loro mente, grandi, evidenti, colorati. Dite loro che è una cosa
bella avere i numeri nella mente, bello contare avanti e indietro, a salti fino
a 10, fino a 50, fino a 100. Fateli contare velocemente, a gara, meglio
leggendo i risultati, così imparano più facilmente. Dare già le risposte allo
studente fa provare certezza.
Contare
in sequenza, a salti in avanti porta all’addizione e alle tabelline;
all’indietro porta alla sottrazione e alla divisione. Importante rinforzare
ogni successo facendo notare allo scolaro quanto gli è stato facile e quanto
stia diventando veloce. Ci sono poi dei trucchi da insegnare ai ragazzi: le
proprietà delle operazioni da usare come aiuto, non da imparare a memoria, o le
prove del 9, per esempio, per controllare i loro calcoli. Cercare gli schemi e
le costanti e trovare strade segrete rende la matematica divertente. *7
Potranno
ad esempio visualizzare nella loro mente le tabelline come una grande tavola
pitagorica. Insegnate loro a giocare molte volte agli incroci, così, solo per
divertirsi.
Quando
gli studenti vedranno sulla lavagna o sullo schermo come funziona la tabella
della tavola pitagorica, sarà per loro più facile crearne una riproduzione
all'interno della mente. Se ci pensate, la divisione è una combinazione di
moltiplicazione e sottrazione a cui si aggiungono delle ipotesi. Intorno a noi
vediamo continuamente forme e sagome e da queste parte la geometria. Insegnate
ai bambini a ruotare le forme, ad allargare o restringere gli angoli e a
guardare come cambiano; prima con oggetti reali, poi nella mente: aiutate i
vostri studenti a costruire nella loro mente una “macchina” che fa vedere le
forme in movimento. *8 *9
“Per
iniziare a insegnare algebra è bene presentare il processo come un racconto
poliziesco in cui ti prepari a risolvere il mistero: stai cercando di scoprire
chi è il personaggio principale. […] Il matematico che arriva intuitivamente
alla risposta e poi la verifica con il procedimento che gli è stato insegnato a
scuola sta facendo matematica inversa. […] La motivazione per imparare a
muoversi in entrambe le direzioni è che in un futuro non lontano ti
semplificherà la vita. […] Parti dalla risposta e poi torna indietro”.
Bandler
e Benson (testo
citato)
SCIENZE
Non
tutto quello che esiste è sperimentabile, documentabile, dimostrabile.
Nell’uomo, nel mondo, nell’Universo, esiste anche una parte invisibile,
spirituale, energetica, vibratoria, non tangibile. C’è nell’uomo una forza
vitale, guaritrice, infinita. Perciò non parlate agli studenti solo di
particelle, di quanti, di protoni, di energia, ma anche di coscienza, di anima
e di spiritualità. Il cuore è, anche secondo me, il secondo cervello, se non il
primo. Nel cuore ci sono cellule nervose, ben 40.000 neuriti sensoriali. Il
cuore emette un campo magnetico misurato fino a circa 3,5 / 3,8 m di diametro
intorno al corpo, ma c’è chi suppone sia infinito. Ci sono nervi che collegano
il cervello con il cuore ed è stato visto che il traffico va per la maggior
parte dal cuore verso il cervello e non viceversa. Detto questo:
La
scienza è in continuo aggiornamento, in continuo studio e sperimentazione.
Insegnate ai ragazzi che ciò che studiano sui libri di scienze era valido –
forse, ma non è detto – quando sono stati scritti, ma potrebbe essere già stato
superato da nuove ricerche o scoperte. (Come la teoria di Darwin)
In
pratica non esiste una verità scientifica, perché la scienza è una continua
sperimentazione e ricerca. La scienza, le scienze, non sono verità assolute,
cioè una cosa può essere vera in un certo luogo o tempo o contesto e meno vera
o falsa in un altro. L’importante è che sia verificabile, che il risultato si
possa ripetere all’infinito.
[...]
Capitolo 16
EMOZIONI E APPRENDIMENTO
La
parola “emozione” deriva probabilmente dal verbo latino moveo–ēre, con il
prefisso e- che significa “da”, quindi: “muovere da”. L’emozione è ciò che
mette in moto. L’emozione è una reazione dell’organismo a uno stimolo esterno o
interno, quindi reale o immaginario; ad esempio posso provare paura se vedo un
pericolo, ma anche se immagino che ci sia un pericolo, anche se in realtà non
c’è. Può essere più o meno intensa, piacevole o spiacevole ed è di solito
accompagnata da cambiamenti fisiologici: variazione del battito cardiaco,
pallore o rossore, tremore, sudorazione, ecc. I
giovani in particolare sono molto vulnerabili alle emozioni se non hanno una
buona conoscenza e coscienza di sé.
NEUROBIOLOGIA
DELL’EMOZIONE
Il
neurone è l’unità cellulare che costituisce il tessuto nervoso, il principale
componente del nostro sistema nervoso. Grazie alle sue peculiari proprietà
fisiologiche e chimiche, è in grado di ricevere, elaborare e trasmettere
impulsi nervosi sia eccitatori sia inibitori. I neuroni comunicano tra loro
usando dei messaggeri chiamati “neurotrasmettitori”, che trasformano un impulso
elettrico in uno chimico che fa agire il neurone. Senza neuro- trasmettitori
non potremmo fare niente. Credo già sappiate che le ricerche delle neuroscienze
hanno scoperto che le emozioni che viviamo, dalla più gioiosa alla più triste e
dolorosa, sono il risultato di un processo mentale che causa reazioni chimiche,
il rilascio da parte del cervello di determinate sostanze che si chiamano
neuropeptidi (stringhe di proteine), che scorrono attraverso il nostro corpo e
rimangono finché l’emozione non è risolta. Queste molecole vengono prodotte
dall’ipotalamo.
Immaginate il
cervello come una grande farmacia e le emozioni come sostanze chimiche
rilasciate da questa farmacia a seguito di una ricetta specifica composta da
pensiero e rappresentazioni interne. In pratica è quello che immagino e mi
dico (dialogo interno) riguardo a ciò che succede che innesca l’una o
l’altra emozione. Nella scuola può capitare che un allievo non riesca ad
imparare certe materie, come una lingua straniera, sempli- cemente perché
immagina di non essere in grado di parlare in quella lingua, pensa di sbagliare
la pronuncia e di vergognarsi. Praticamente vive l’evento nella sua mente,
anche se non è accaduto, e il cervello lo percepisce come reale perché non
distingue le immagini vere da quelle mentalmente costruite.
Il
talamo regola il flusso dei segnali chimici attraverso il cervello e, appena
una diversa informazione sensoriale viene percepita, regola e fa scorrere
queste informazioni in entrata innescando il rilascio dei neuropeptidi. Essi
sono di due tipi: neuro-inibitori, come adrenalina e cortisolo, e
neuro-trasmettitori, come le endorfine e la serotonina.
AMIGDALA
L'amigdala
è un agglomerato di nuclei nervosi che si trova nella parte interna di entrambi
i lobi temporali del cervello (ne parliamo al singolare, ma sono due, le
amigdale). Essa è basilare nella regolazione delle emozioni, infatti è spesso
descritta come il centro delle emozioni nel cervello umano. Dall’amigdala
dipendono tutte le nostre passioni ed è la centrale emotiva del cervello,
indispensabile per la sopravvivenza. Essa ha diverse funzioni.
L’amigdala
ha il compito di valutare il significato emozionale degli eventi; invia
messaggi di emergenza al cervello; stimola la secrezione degli ormoni che
innescano la reazione di combattimento o fuga; mobilita i centri del movimento;
attiva il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino; dà l’ordine di
secernere piccole quantità di noradrenalina che aumenta la reattività delle
aree chiave del cervello; blocca i movimenti; accelera la frequenza cardiaca;
alza la pressione; rallenta il respiro;
prepara la muscolatura a reagire; riorganizza i sistemi mnemonici per
richiamare ogni informazione utile; sequestra gran parte del resto del cervello
(compresa la mente razionale) e impone i propri comandi.
In
caso di pericolo, come prima risposta si attivano reazioni che possono essere
di attacco, blocco o fuga. Si parla in questo caso di sequestro emotivo,
in cui il sistema limbico, tramite l’amigdala, produce un insieme di reazioni
psicologiche e fisiologiche, in cui, per alcuni secondi (sei), la persona è in
preda all’emozione e reagisce istintivamente. I lobi frontali, usando la logica
cercano di dare una risposta che tenga conto della realtà oggettiva, cosciente
di ciò che facciamo. Ci sono sei emozioni primarie: gioia, sorpresa, paura,
tristezza, rabbia (collera per Goleman), disgusto. A queste Goleman aggiunge la
vergogna.
Ogni
emozione ha un riscontro fisiologico nel nostro organismo, può avere una
specifica espressione facciale, anche se ci sono persone che non la
manifestano. Paura, rabbia, tristezza, sorpresa, disgusto e gioia sono
universali e possono essere riconosciute anche da popoli analfabeti. Le
emozioni possono essere più o meno piacevoli, più o meno intense.
Goleman
parla di Intelligenza Emotiva, cioè la capacità di motivare se stessi, di
perseguire un obiettivo, di essere empatici e sperare, di controllare gli
impulsi e rimandare la gratificazione, di modulare i propri stati d’animo
evitando che la sofferenza impedisca di pensare.
L’Intelligenza
Emotiva è volta a:
-
Conoscere le proprie emozioni e saperle nominare (le emozioni spiacevoli si
dissolvono, o per lo meno diminuiscono, quando se ne può parlare e dar loro un
nome);
-
Riconoscere le emozioni altrui (empatia);
-
Saper valutare ed esprimere le emozioni in se stessi e negli altri;
-
Controllare e regolare le proprie emozioni, cioè scegliere il proprio
comportamento;
-
Essere capaci di sapersi motivare;
-
Gestire le relazioni sociali;
-
Usare le emozioni in modo adattivo. *1
EMOZIONI
E COSCIENZA
L’alunno
per poter imparare deve essere tranquillo, non in preda ad emozioni che
stimolino il suo bisogno di attaccare o di scappare. Solo quando si sente
sicuro e calmo, il sistema limbico non lo obbligherà a reagire e così potrà
pensare ad apprendere. Per uscire dal sequestro emotivo occorre tornare ai lobi
frontali e questo può essere fatto ragionando, ad esempio facendo calcoli
mentali. Il soggetto conosce il mondo con tutta la mente. Le esperienze
formative acquistano senso nel momento in cui sono arricchite dalle emozioni.
Le emozioni costituiscono una modalità di conoscenza diversa da quella
razionale: immediata, globale, associativa, analogica. Le emozioni senza
controllo cognitivo sono inadeguate alle relazioni sociali. Bisogna saper
governare e dirigere la carica emozionale. *2
EMOZIONI
E SCUOLA
Emozioni
e apprendimento sono connessi e le emozioni vanno a “interferire” con il
rendimento scolastico. Le
emozioni che abbiamo si trasmettono.
L'insegnante
che entra in aula col sorriso e con entusiasmo suscita un clima emotivo
positivo. Gli studenti sentono di essere partecipi e motivati; anche quando
vengono rimproverati, percepiscono un tono amorevole.
L'insegnante
che arriva irritato e teso, crea un clima di sfiducia, trasmette agli studenti
rabbia o tensione. Gli studenti faticano a partecipare, si annoiano, si
agitano. Un insegnante calmo e tranquillo trasmette tranquillità. Gli studenti
di tutte le età captano, intuiscono, se un insegnante è agitato o pacato o
irritato o spaventato o insicuro… Le ricerche dimostrano che la comunicazione
non verbale e in particolare le espressioni facciali, consentono agli studenti
di valutare, in brevissimo tempo, l'insegnante che stanno osservando. Occorre
che sappiate gestire le vostre emozioni prima, durante e dopo le lezioni per
essere più sereni, lasciare da parte le difficoltà dovute agli impegni sul
lavoro e tenere fuori dalla scuola le preoccupazioni e i problemi personali.
Per
qualcuno potrebbe essere relativamente facile. Ricordo che nelle ore di lavoro
con i ragazzi riuscivo a dimenticare completamente quanto mi stava succedendo
nella vita privata, anche quando mio padre era in ospedale operato al cuore. Ricordate:
lo stato emotivo della classe dipende dall'insegnante.
“In
tempi recenti, la concezione neuroscientifica riguardo alle emozioni è stata
ribaltata: se prima le emozioni erano viste come un fattore perturbante
dell'apprendimento, ora si è scoperto che emozioni e cognizioni sono
supportate da processi neurali interdipendenti. In definitiva, pensiamo
profondamente solo alle cose che ci stanno a cuore. Le emozioni giocano dunque
un ruolo rilevante nei processi di apprendimento”.
Mary Helen
Immordino-Yang (psicologa
dello sviluppo, neuroscienziata e ricercatrice)
“Ogni
volta che un bambino apprende, accanto a ciò che apprende ricorderà e traccerà
la memoria delle emozioni con cui apprende. Se apprende con paura, ritornerà
dalla memoria anche la paura; se apprende con la percezione di inadeguatezza,
si sentirà sempre inadeguato e la sua memoria ripeterà questo circolo,
stabilizzando che non è capace. Bisogna interromperlo, oppure non stiamo
insegnando, soprattutto non stiamo dando il meglio delle possibilità di aiuto
ai nostri ragazzi, stiamo soltanto utilizzando fotocopie o esercizi, che è
un’altra cosa”.
Daniela Lucangeli (professoressa di psicologia,
esperta di psicologia dell’apprendimento)
Secondo
le neuroscienze, tutte le informazioni che percepiamo dal mondo, quindi
anche le nozioni spiegate a scuola, attraversano una serie di “filtri” che
risiedono nel nostro cervello e precisamente nell’amigdala e nell’ippocampo.
Sono queste strutture che esaminano l’informazione e decidono se essa è abbastanza
importante da poter accedere alla memoria a lungo termine, alla corteccia
cerebrale e ai processi cognitivi superiori come l’attenzione, il problem
solving, la pianificazione. Il primo “filtro” delle informazioni è
l’amigdala che opera una selezione di tipo “emotivo”: se l’informazione
arriva da un ambito emotivo sfavorevole non passa il filtro e non arriva al
cervello più evoluto. Se ne deduce che, se i discenti provano paura o ansia
durante l’apprendimento, l’informazione non arriverà alla corteccia cerebrale. Il
secondo filtro è l’ippocampo, il quale lascia passare solo le
informazioni che hanno un significato per il soggetto e che trovano un
collegamento con le informazioni già presenti: quello che non è ritenuto
significativo e importante viene dimenticato. Perciò capite come il “clima” che
si respira in classe sia importante, dato che l’emotività può favorire o
bloccare l’apprendimento.
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